“Dimmi, che c’è?”.
“C’è che quando scrivi di R. ti vedo un po’ strano e vorrei capire cosa ti passa per la testa. Perché davvero, io lo percepisco quando tenti di riordinare le idee su di lui: fai e disfi, cancelli in continuazione, ti contraddici ogni due linee,... Insomma: sembra che non sappia nemmeno tu quello che ti sta succedendo. Sono preoccupato”.
“Sei la solita rottura di coglioni. Quando fai così non ti sopporto”.
“Faccio finta di non aver letto. Non sarà, come dicono in molti, che ti sei innamorato di questo R.? Non sarebbe più semplice ammetterlo?”.
“Io non so più cos’è amore, perciò evito di pronunciare quella parola. L’unica cosa che so è che, quando passo un po’ di tempo con lui, condividendo una cosa qualsiasi - sesso, cibo, chiacchiere, la visita a una mostra, una birra al bar, ... - mi fa star bene”.
“Ti va di scopare stasera?”. Il messaggio è semplice e diretto. Del resto, era stato proprio lui a dirmi che se volevo trombare potevo andare dritto al sodo, “perché ormai c’è fiducia tra noi”. E allora eccoti servito, caro R. Sono appena uscito da una settimana decisamente positiva in quanto a incontri, diciamo che sono sazio e più che soddisfatto sessualmente, eppure voglio te. Starti un po’ vicino. Condividere qualcosa.
“Ah! Sto mangiando e non posso pensarci adesso”, risponde lui.
No, bello, non mollo l’osso: “Io invece sono molto eccitato e dilatato”, insisto.
“Ahahah. Io sto dilatando lo stomaco. Aspetta un momento e ne parliamo”.
“Uhm. Bello. Però che mi racconti di quando ti fa star male? Hai capito perché alle volte ci stai così male?”
“Credo che sia perché non mi può dare tutto ciò che mi piacerebbe avere da lui. Non parlo di esclusività dal punto di vista sessuale: che lui desideri scopare con altri (con molti altri) e io voglia fare lo stesso, è stato chiaro a entrambi fin dall’inizio. Nessun inganno, non ci siamo mai presi in giro. Ho sempre pensato che amare qualcuno significa lasciarlo libero: non sono riuscito ad applicare questo principio nella lunga storia che ho già vissuto e che si è da poco conclusa, perciò questa volta non voglio sbagliare. Se sente questa necessità (come la sento io), che la soddisfi senza problemi. Ciò che mi disturba è forse il fatto di sentirlo raccontare continuamente di tutti quelli che si tromba, nel senso che proprio non m’interessa saperlo, perché non mi dà né mi toglie nulla. Anzi, qualcosa sì mi toglie: il tempo che sprechiamo nel chiacchierare di questo invece di costruire qualcosa di bello insieme, per noi. Ma, a parte questo, nessuna gelosia”.
“E allora? Perché puoi arrivare a stare così male con lui?”.
“Perché mi manca il suo sentimento. Non riesco a capire cosa prova davvero per me. ‘Non voglio farti promesse che so di non poter mantenere, non ti voglio illudere, Milk’, mi ha detto una sera. ‘Io non posso giurare oggi che fra sei mesi o un anno io non m’innamori di te o di qualcun altro, il fatto è che io adesso non riesco più a provare amore per nessuno. Sono felice? No, non lo sono, però è così’. Ricordi quando lo disse?”.
“Sì, quella sera che tu t’incazzasti perché aveva un appuntamento con un tipo, ma era uscito con te”.
“Già, non potevo proprio tacere: un po’ di rispetto, quello almeno sì. Aggiunse che era ovvio che per me provasse affetto. Ovvio... mah. Il fatto è che io spero sempre di essere per lui qualcosa di più di un ragazzo qualsiasi, ma alle volte mi sembra solo una stupida illusione. Ovvero: mi sembra la proiezione, su di lui, di un bisogno che, in realtà, è solo mio. Anche se, e te ne sarai accorto anche tu, il suo atteggiamento ultimamente è cambiato. È più affettuoso, più attento, persino più rilassato di prima: io credo sia dovuto al fatto che adesso non mi faccio più nessuno scrupolo a raccontargli pure io i dettagli delle mie avventure. Col che, probabilmente, pensa che io abbia acquisito un certo distacco. Come si sbaglia!”.
(Due ore dopo) “Se vuoi, possiamo vederci a casa mia alle 6 e mezza, perché nella tua stanza di sopra il sole batte con troppa forza”.
“Però io prima ho da fare, meglio più tardi”.
“Se non vogliamo sudare molto dovremmo farlo a casa mia. Oppure non sarebbe male anche a casa tua, però lentamente”.
“Io nella parte di sotto ho l’aria condizionata, quindi abbiamo tre possibilità: o mi fai un culo così a casa tua, o mi fai un culo così sul mio divano oppure ci vai leggero nella stanza di sopra”.
“Va bene, a casa tua alle 8”.
“Ma insomma, cosa siete, adesso, l’uno per l’altro?”.
“Questo è il lato positivo e, al tempo stesso, negativo di tutta la faccenda: non so dare un nome alla nostra strampalata relazione né a quella che mi piacerebbe avere. Forse ciò che desidero sarebbe, tecnicamente, una ‘scopamicizia’: due ragazzi che si conoscono per scopare, approfondiscono la conoscenza, si piacciono come amici e continuano a trombare di tanto in tanto, ma senza stabilire un’esclusività in nessun campo della loro vita. Non sono ‘solo’ amici ma non sono nemmeno ‘coppia’. L’aspetto positivo è che, in assenza di modelli forti come può essere quello della coppia classica, si può essere molto creativi e reinventare la relazione ogni giorno, costruendola su misura e riservandosi piacevoli sorprese. Quello negativo è che io precipito facilmente nella paura e nella mancanza di fiducia in me stesso: sento di non piacere abbastanza, di non essere capace di costruire un rapporto appagante né per me né per l’altro. Fondamentalmente, riducendo la questione all’osso, credo di non interessargli abbastanza”.
“Ed è effettivamente così?”.
“Boh, direi che io mi piaccio assai poco ed è difficile che uno con un’autostima così bassa possa interessare agli altri, ti pare?”.
“Dunque R. non c’entra niente, sarebbe così anche con un altro?”.
“No, R. c’entra eccome, perché anche lui ha un vissuto per il quale in questo momento non vuole che nessuno pretenda niente da lui. Non desidera rinunciare alle cose belle che gli altri gli possono offrire, però solo finché per ottenerle non deve sacrificare niente di ciò che già ha. Potrebbe sembrare egoista, e lo è. Eppure io lo capisco”.
E viene a casa e ci baciamo, ci abbracciamo. Si toglie la maglietta, smanetta un po’ sul mio computer. Gli bacio la schiena, gli carezzo il petto. È allegro e scherza, io sono allegro e gioco con lui. Poi scopiamo. Lo facciamo, questa volta, con molti baci, con carezze reciproche. Mentre sono a pecorina, mi lavora il culo con le dita e il lubrificante. Io impugno il suo cazzo, lungo, grosso e durissimo e penso a quanto mi piace. Lo appoggia contro il mio culo, mi eccito ancora di più. La cavalcata è lunga e molto piacevole, ma la cosa più bella è l’orgasmo: illusione di essere uno solo in quegli istanti in cui le grida, i gemiti, il nostro stesso fiato, si fondono in un’unica canzone. E lui si piega su di me, ancora scosso dai suoi tipici fremiti, ancora ben piantato dentro di me, e mi bacia. E lo bacio. E poi sul divano a farci carezze. E lui, a ricordare quando gli sono stato vicino, e io a sorridere di questa tenerezza che mi sembra nuova e bellissima. Poi usciamo, è già tardi, a cenare in un ristorante indiano. Poi un’ultima birra, già stanchi. “Sono stato molto bene”, mi dice sulla soglia della metro, dopo avermi baciato. “Anch’io. Ciao”, gli dico, pensando a questo momento che non posso catturare, che non posso fare del tutto mio.
“Intravedi qualche soluzione? Perché questa altalena continua tra euforia e dolore, mi sembra ti stia nuocendo non poco”.
“La soluzione sarebbe troncare di netto e dirgli: vederti e non poter ‘stare’ con te nella maniera che io vorrei mi sta facendo soffrire più di quel che riesco a sopportare. Finora ho resistito, aiutato dalla gioia che provo per averti conosciuto e per condividere parte della mia vita con te, ma adesso è meglio che la finiamo qui. Il punto è che io questo non voglio dirglielo perché non voglio perderlo. Non ancora”.
“E allora soffri, cretino!”.
Al tavolo del bar nella piazza invasa letteralmente di gente vociante, ormai a notte inoltrata, lo incontro con due suoi amici. Parlano di viaggi che hanno fatto insieme, non ho modo di inserirmi nel dialogo. Poi siamo in un altro bar, solo per smangiucchiare qualcosa e bere l’ennesima birra. R. viviseziona con lo sguardo i ragazzi seduti al tavolo vicino al nostro. Tenta un approccio con uno di loro in un bagno, senza successo. Cominciano a girarmi i coglioni, perciò decido di concentrarmi sulla mia stanchezza. Ce ne andiamo di lì a poco, R. mi accompagna fin sotto casa, a piedi. Ci congediamo con un abbraccio e un bacio.
Rientro a casa pensando che non lo chiamerò né gli scriverò più. Che la prossima volta che ci vedremo sarà perché vuole vedere proprio me, e non perché si sta annoiando. Che ne ho abbastanza.
Secondo me prima o poi ti stufi e lo mandi al diavolo. E' solo una questione di tempo.
RispondiEliminaSono giunto alla conclusione che non ha senso affaticare il cuore e la mente per un uomo.
Sì, non ha alcun senso. Se affatichiamo il cuore e la mente, vuol dire che c'è qualcosa di grosso che non va, perché per un uomo il cuore e la mente dovrebbero solo gioire e non stare male.
RispondiEliminaEffettivamente... quando dico che mi è capitato raramente di piangere per un uomo vengo considerata al pari di un'aliena, come se la normalità fosse lo struggimento e non tutto il suo contrario. Io ho sposato mio marito anche perché mi faceva ridere, e lo fa ancora a distanza di molti anni, così come a distanza di molti anni la passione fra noi due è tutt'altro che sopita, saziata [tanto per tranquillizzare tutti quelli che "il matrimonio è abitudine e routine"], poi certo, si piange anche, ma per un'incazzatura, una lite, qualche volta per la rabbia di non essere capit*. Ma per amore, quando e se c'è l'amore, non si piange, non si dovrebbe, almeno. Baci belli tesoro..:-)*
Eliminai trombamici/che... di solito, alla fine, rompono i coglioni... ma io sono poco affidabile, in realtà vado male in tutte e tre i cerchi...
RispondiEliminaÈ che io non ho neanche quello.
EliminaLa mia esperienza, con il mio R., mi ha insegnato che quando non si tollerano più gli atteggiamenti ambigui, quando non sopporti sentirlo parlare della relazione che ha con un altro, quando ti incazzi come una biscia quando sai che in un certo momento lui si diverte con chissà chi ma non con te... Bhè... Non è amore, ma ci sei vicino. Molto vicino. Io prima tolleravo bene più o meno tutto: i racconti delle sue vacanze con la compagna, la sua vita quotidiana con lei, le loro abitudini. Diciamo che ne parlavo come nulla fosse; erano discorsi come tanti altri...
RispondiEliminaAdesso invece, al sol sentirla nominare, mi incazzo...Eccome se mi incazzo...
Vuoi un consiglio? Vacci piano, prima di sbatterci forte la faccia.
In che senso vacci piano? Nella relazione con R., dici? È che già sto meditando su come posso fare per mettere un po' di distanza fra noi.
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