lunedì 25 febbraio 2013

Il toro e la puttanella

A questo toro piacciono le vacche servizievoli, compiacenti, adoratrici del cazzo. Possibilmente del suo. “Sono freddo”, mi dice, mentre si toglie la maglietta rossa attillata che porta sotto il maglione. È un po’ più alto di me, è massiccio, duro, forte, e accorcia i peli, così fitti sul petto e sulla pancia. Tra due ore avrà un impegno da un’altra parte e dovrà andarsene però, per adesso: “ti scaldo io”, gli dico. Nella stanza tutto è bianco. La luce del sole gelido di oggi è cristallina e tanto candore contrasta con la lussuria dei nostri sguardi. La mia lingua scivola contro la sua, si muove frenetica mentre le nostre labbra si uniscono e un abbraccio reciproco ci schiaccia l’uno contro l’altro. Ho la sensazione di perdermi in quel petto e in quelle spalle così ampie: fin da questi primi istanti JJ. per me è protezione e aggressione insieme, è usurpazione, invasione, istinto maschio di cazzo, di coglioni, di sborra. Ho ancora la maglietta e i pantaloni addosso ma sto già sporgendo involontariamente il culo. Me ne accorgo solo quando comincia a palparlo. È il mio corpo che sta comunicando già direttamente col suo, se ne infischia delle regole apprese e mi fa apparire per ciò che sono ora: buco caldo e accogliente, impulso di gambe divaricate e bocca umida.
Il pacco è gonfio quando fa cadere i pantaloni fino alle ginocchia. Gli abbasso gli slip liberando così il suo bel cazzo dalla pelle abbondante. Tirando verso la base, scopro la cappella, corta ma grossa. M’inginocchio davanti a JJ., pronto a pregare la mia divinità. E me lo metto in bocca. Mentre vado con la testa avanti e indietro e assaporo la nerchia grande e dura, non smetto un secondo di mugolare. Emetto dei suoni un po’ acuti che contrastano con i suoi, più gravi. Una mano sulla testa e di colpo mi ritrovo bloccato, con l’intero cazzo di JJ. in bocca mentre lui preme ancora e ancora, finché non sente scivolare la cappella ancor più in fondo nella mia gola. Adesso si muove ritmicamente dentro e fuori, tenendomi ferma la testa con entrambe le mani, mentre io metto le mie sul suo culo, per fargli capire che sì, la mia bocca da pompinaro è fatta anche per quello. Mi tolgo la maglietta e prendo un po’ di fiato, ma JJ. ricomincia subito. Ogni tanto lo faccio scivolare fuori e gioco con le labbra o con la lingua sulla sua cappella, mi eccito ancora di più, allora torno a lasciarmi chiavare la bocca, ancora e ancora. 
Mi abbasso anch’io pantaloni e slip fin sotto le ginocchia e lo vedo concentrato a osservarmi il culo. Quel suo sguardo trasferisce su di me tutta la sua lascivia. Mi metto a quattro zampe sul letto, perché noti la mia predisposizione. La schiena è arcuata al massimo, il culo teso verso di lui. JJ. si mena il cazzo come un forsennato mentre con un indice e un medio mi allarga il buco. Il solo contatto tra la sua mano e il mio culo mi fa gemere. La sensibilità della mia pelle sembra centuplicata. 
La monta potrebbe avere inizio a tutti gli effetti, ma voglio togliermi i pantaloni, gli slip e le calze. Lascio tutto in terra e poi mi distendo a pancia in giù e appoggiandomi sui gomiti metto il viso vicino al suo cazzo durissimo, che comincio a leccare, mentre JJ. è ancora in piedi accanto al letto. Di nuovo le sue mani forti afferrano la mia testa e di nuovo me lo caccia dentro, fino in gola. Questa volta sento un “Sìii”, mentre mi preme la testa con tutta la forza che ha. Un gemito gutturale profondo mi fa capire quanto gli sta piacendo. Poi allenta la presa per un attimo e appena mi allontano uno o due centimetri, torna a spingere il mio viso contro di sé, in rapida successione, una decina di volte.
Finché lo sfila e: “Prendo un preservativo, che adesso te lo apro”. Mentre cerca in una tasca della giacca, appoggiata sul divano, io lubrifico il buco: due dita mi entrano già senza nessuno sforzo. Mentre JJ. indossa il preservativo, io mi sditalino, osservandolo. Dopo aver sparso un po’ di gel sul suo cazzo inguainato, mi metto sul letto a quattro zampe. Dietro di me, il torello preme contro il buco ed entra. Scivola pianissimo, quasi impercettibilmente, ma non si ferma. Al primo impatto sento crescere già uno stimolo molto piacevole. Ma cedo immediatamente del tutto, il buco mi si allarga da solo e lui può già cominciare a muoversi avanti e indietro e a dare dei colpi violenti. Mentre mi fotte mi accarezza i capezzoli, stringendoli con due dita delicatamente. A seconda della posizione della mia schiena, che alzo o abbasso alternativamente, l’angolatura del mio culo varia leggermente. E mentre JJ. cambia ritmo e profondità e sbatte, sbatte forte il suo bacino contro i miei fianchi, io gemo. 
Animale. Aperto. Inculato. La bocca è aperta. Ansimo. Un bastone durissimo dentro, vuole arrivare più in fondo. JJ. mi spinge più avanti. Vuole che io non cambi posizione, alla pecorina gli piace, però sale sul letto e appoggia le ginocchia dietro di me. Continua a spingere la sua carne dentro la mia. Quando mi volto, con la coda dell’occhio lo vedo intento a osservare come il suo cazzo entra ed esce dal mio culo ormai più che accessibile. Il toro è molto resistente, ma adesso lo sento gemere forte, senza ritegno. Ed è, questo, uno degli atteggiamenti di un maschio che più mi fanno uscire di testa: percepire chiaramente che sta perdendo il controllo, che si sta lasciando andare.
Comincio a cedere. Dopo aver perso liquido prespermatico, due o tre schizzi di sborra escono adesso dal mio cazzo. Bagno un po’ il lenzuolo e lui se ne accorge. Aumenta il ritmo e soprattutto la violenza con cui mi sta penetrando e capisco che siamo vicini alla fine. Non ce la faccio più e, all’inizio senza nemmeno toccarmi l’uccello, vengo. Dai suoi gemiti capisco che dentro il mio culo il preservativo si sta gonfiando dello stesso liquido bianco. Bianco come questa mattina bianca e splendente di gioiosa ed energica vita.

“Puttanella”, mi dice, tra le altre cose, alla fine. E non si scusa per il diminutivo.

mercoledì 13 febbraio 2013

E un bel ragazzo intorno

“Devi venire qua con la voglia di succhiare il cazzo e di farti fottere”. Un desiderio obbligatorio, una contraddizione in termini. Ma è il suo modo di dirmi che non accetta compromessi o mezze misure: ci siamo già detti quello che vogliamo l’uno dall’altro, il patto ormai è chiaro e, se sarà rispettato, l’amicizia potrà essere eventualmente lunga.
Prima di farmi la doccia e uscire di casa, giro e rigiro sul computer le foto di questo ventiduenne. È attraente e in chat l’ho trovato incredibilmente spigliato per la sua età — le idee chiarissime, il linguaggio diretto, crudo, di chi sta cercando una soddisfazione urgente per i propri sensi.
Scende ad aprirmi il portone. Condivide l’appartamento con altra gente e vuole evitare che  io possa incrociare qualcuno dei suoi inquilini. Ha un accento che al principio mi sembra francese. È di una bellezza strepitosa: alto, spalle larghe e torace ampio, capelli neri e sorriso perfetto, una barba scura appena percettibile, di tre giorni. Indossa una maglietta verde e dei pantaloncini sportivi corti e larghi, bianchi. In ascensore comincia a baciarmi e a toccarmi il culo mentre io con la mano verifico che non porta le mutande e comincia già ad eccitarsi. He has a hard-on.
La sua stanza è poco più di un cubicolo di dieci metri quadrati scarsi. Un letto a una piazza, un comodino, una bandiera dello stato in cui ci troviamo appesa al muro, un portascarpe e una sedia sono gli unici elementi decorativi. La tapparella della persiana è abbassata e copre più o meno la metà della finestra. “Il posto è piccolo”, mi dice Ma. per darmi la possibilità di rispondergli: “Non importa, andrà benissimo”. Si siede sul letto mentre io mi tolgo la giacca. Lo raggiungo e cominciamo a baciarci. Il bacio. Da quanto tempo non ne sentivo uno così appassionato? E le sue braccia mi stringono a sé, le sue mani sollevano la mia maglietta carezzandomi la schiena, le mie cercano i suoi capezzoli e li sfiorano. It’s a nipple play. I nostri respiri si fanno confusi e si mescolano, come il mio desiderio si confonde col suo e viceversa. È un uomo fatto e finito, questo Ma., e che belle braccia che ha. Però davvero, questo viso e questo sguardo fresco da ragazzo della sua età m’inquietano e mi eccitano. Continuiamo a baciarci e la tensione cresce così tanto che già sto desiderando di essere penetrato.
Gli abbasso i pantaloncini e lui mi aiuta a mettere l’elastico subito sotto i coglioni. Ha un cazzo nella media, dritto, circonciso. Comincio giocando un poco con la lingua sul frenulo, sulla cappella, lungo l’asta. Chiude gli occhi per assaporare le sensazioni che gli regalo ma un vero e proprio fremito lo percorre solo quando schiudo le labbra e le lascio scivolare dalla punta alla base della cappella, poi nel solco subito sotto e giù, fino a buona parte dell’asta, per poi risalire. Vado su e giù con la testa impugnando al tempo stesso il suo cazzo, poi andando solo di bocca. Interrompo il lavoretto due volte: la prima, per togliermi la maglietta e la seconda, per levarmi pantaloni, calzini e slip. Cambio spesso ritmo per variare il gioco, ma cerco sempre di arrivare con le labbra alla base del suo bastone, peraltro senza riuscirci. Dopo una decina di minuti, approfittando del fatto che in quel momento il suo cazzo è quasi completamente infilato nella mia bocca, sposta la mano destra, che fino a quel momento aveva accarezzato la mia spalla e il mio braccio sinistro, portandola sulla mia nuca. La preme forte verso di sé, costringendomi a fargli una gola profonda. Sento la sua nerchia contrarsi almeno tre volte nella mia bocca, mentre con la sua mano Ma. tiene ferma la mia testa. Siccome sta ansimando, temo stia per venire da un momento all’altro. Con un gesto rapido, adesso chiude il palmo della mano e acciuffa i miei capelli, tirando la mia testa verso l’alto finche le labbra arrivano all’altezza della cappella. Allora mi spinge di nuovo la testa verso il basso e fa entrare di nuovo tutto il suo uccello nella mia bocca. Adesso Ma. controlla la situazione e conduce il gioco. La mia gola si abitua in fretta e in certi momenti distinguo chiaramente la sua cappella scivolarmi in gola e contrarsi una e un’altra volta. You’re a cocksucker, boy.
Nel frattempo ho assunto la posizione più remissiva possibile, alla pecorina. Il mio corpo gli si sta offrendo senza remore. E lui, dopo parecchi minuti e quando già sente di essere al limite, si alza, fa il giro del letto e si mette dietro di me. Allarga le mie natiche con molta forza, il più possibile, per osservare bene il buco. Poi ci affonda la faccia e comincia a lavorare con la lingua. Lo fa talmente bene, che io mugolo senza ritegno. Incoraggiato da quei suoni, il ragazzo comincia a usare la lingua come fosse un cazzetto, facendola entrare e uscire dal buco ritmicamente. And you are an experienced ass licker.
C’è un momento, generalmente bellissimo, in cui il cuore accelera ancor di più i suoi battiti, il mio respiro si fa più affannoso e i muscoli là sotto cedono: il mio buco si apre, si allarga.  È quello che sta accadendo ora e Ma. probabilmente se ne accorge. Per constatare che io sia davvero pronto per essere montato, si erge dietro di me e m’infila un dito: non incontra nessuna resistenza.
Allora si alza in piedi e, mentre indossa il preservativo e lo cosparge di lubrificante, io mi mangio con gli occhi questo bel ragazzotto perfettamente proporzionato, dal fisico definito senza essere muscoloso e con la giusta quantità di peli distribuiti su petto e ventre. Mi fa stendere a pancia in giù, si stende sopra di me e con un colpo secco, molto deciso, me lo infila tutto dentro. Gemo forte ma lui continua. Sotto i suoi vigorosi va e vieni non solo sembra cedere il mio culo, ma anche il letto che adesso cigola. Ciò che mi fa godere di più, però, a parte la forma brutale con la quale m’incula, è che mi stringe il petto con un braccio, sovrappone l’altro braccio al mio e nel frattempo cerca la mia bocca, mi bacia, mi lecca il collo e un orecchio. I nostri corpi sono vicinissimi e non è solo un fatto di nerchia-culo, qui c’è anche tanta pelle, c’è bocca e saliva, c’è respiro. A farmi impazzire è proprio l’equilibrio di durezza e di tenerezza che percepisco in lui, mentre io, compiacente, mi lascio fottere e ricambio come posso le sue carezze.
Mi prende di fianco, poi di nuovo a pancia in giù, aggrovigliando le sue gambe alle mie, poi di nuovo di fianco. A un certo punto lo spinge talmente in fondo da provocare gemiti incontrollabili. Ne approfitta per aumentare il ritmo della monta e mi sussurra all’orecchio: “Mi manca pochissimo”. Io riesco solo a dire dei “Sì” entusiasti. “Vuoi che venga?”, è la sua domanda indiretta per sapere se può scaricare ora. Alla mia risposta affermativa, accelera ancora e poi: “Sto per sborrare”, dice e infine, ansimando, “Vengo”. I′m cumming, baby, I′m cumming!

Negli Stati Uniti si annoiava e per questo è venuto qua. Per rifarsi una vita, mi racconta, e andarsene da un ambiente troppo conservatore, dalla mentalità troppo stretta. È contento di sé e della sua indipendenza, di potersi mantenere anche lontano dai suoi. Però vorrebbe tornare negli States per iscriversi all’università e poter intraprendere un’attività più interessante di quella che ha ora. Disteso sul letto, lo osservo mentre se ne sta seduto accanto alla finestra, fumando una sigaretta. Decido di registrare quell’immagine per sempre nella mia memoria.
Quando torna a distendersi sul letto, ci baciamo di nuovo. Ancora e ancora. Il suo cazzo si fa di nuovo duro. Glielo accarezzo e gli dico che potremmo riprendere il discorso un’altra volta. Non mi risponde ed io m’impietosisco. Comincio a sbocchinarlo di nuovo e di nuovo lo sento ansimare. Dopo un po’ decido una variazione e scendo più in basso, a leccare i coglioni, trascurati nella sessione appena conclusa. Non solo ci passo la lingua sopra, prima uno e poi l’altro, ma comincio a succhiarli, tirandoli un po’ con la bocca. Al tempo stesso gli meno il cazzo, già ben insalivato.
Oh my God”, lo sento soffiar fuori piano, pianissimo. Dice proprio così, ma con tono ben più convincente di quello che si sente in certi film. E poi: “Sborro”.
Già sulla soglia: “Ci risentiamo, ok?”. Ovvio, non mi avrai mica preso per scemo?

domenica 10 febbraio 2013

Delle mie brame

Esco dal lavoro quando fa già buio da un pezzo. È quasi periferia. E io ho promesso ad Ab., incautamente, di andare a casa sua. Che si trova in culo ai lupi, non proprio dietro l’angolo. A piedi attraverso strade enormi, semibuie, ghiacciate. Siamo in pieno inverno, fa freddo e io sono stanco. Ma qualche giorno fa Ab., con un’intuizione notevole, ha piazzato lì una frase che ha provocato in me immediata e incontrollabile salivazione: “Sborro come una fontana”. Meglio togliersi il dubbio e fargli posto nella mia agenda, mi son detto.
Il quartiere, tutto caseggiati moderni e desolati, mi mette addosso una tristezza senza nome. Quando arrivo, la porta è socchiusa. Entro e lo trovo nudo, disteso sul letto. Mi sorride e nel frattempo se lo mena. 
“Devo farmi una doccia”, gli dico.
“Fai pure”, mi risponde, accennando col capo dove si trova il bagno.
Quando ho finito, vado in camera e mi distendo accanto a lui. Né bello né brutto, Ab. mi accarezza e mi bacia con foga. Comincio a toccargli il cazzo, leggermente curvo e perfettamente nella media, circonciso, e poi soppeso i coglioni, di buone dimensioni, senza eccesso. Ho già voglia di mettermelo in bocca e così lo spompino. Nel frattempo lo guardo di tanto in tanto e mugolo e sporgo le labbra quando ci appoggio sopra la cappella. Lui si gode lo spettacolo e mi sorride e respira forte.
È arrivato il momento. Si alza e io in un attimo sono a quattro zampe. Inarco la schiena e sporgo il culo. Allarga le mie natiche e con la punta della lingua mi lecca il buco. Lo solletica tanto da farlo cedere. E allora indossa un preservativo, si massaggia il cazzo con del lubrificante e si mette dietro di me. Senza rendermene conto davvero, percepisco il grande specchio del guardaroba che è sulla sinistra. Vedo il riflesso di Ab. che s’impugna il cazzo e lo avvicina al mio culo, ma è solo un attimo, perché non va per il sottile e me lo sbatte tutto dentro, di colpo. Allora chiudo gli occhi e grido, girando la testa verso la parete contro la quale già sta cozzando ritmicamente la testiera. 
La cadenza è martellante, ma non varia, come costante è anche la profondità della penetrazione. Un’inculata scolastica, da laboratorio, meccanica, chirurgica. Monotona. Ringrazio il mio culo per essere così sensibile da farmi provare un vero piacere fisico anche in casi come questi, mentre il cervello concentra i suoi sforzi nell’immaginare il contenuto di quei coglioni che adesso, là dietro, si stanno certamente agitando, come il loro padrone.
Ad un certo punto, però, Ab. cala l’asso: “Mettiti a pancia in su”. Un missionario con le gambe ben divaricate e i polpacci appoggiati alle sue spalle. Un classico, insomma. Sì, però il birichino mi fa stendere in diagonale rispetto al letto. E rispetto allo specchio. Così, mi basta girare la testa a sinistra per avere una visione perfetta del mio culo aperto, del suo cazzo che entra e poi dei suoi movimenti di bacino, adesso ancor più rapidi. Sento il culo aprirsi ancor di più mentre Ab. mi fotte con molta forza. Lo sento scivolare dentro e fuori la mia carne e, allo stesso tempo, posso vedere nello specchio con quanto impegno si dedica a martoriare il mio culo. È come una macchia d’inchiostro su un foglio di carta assorbente: è il piacere che si espande dal buco al resto del corpo e poi arriva al cervello, facendomi gemere. Lo incoraggio ad essere ancora più aggressivo. Appoggio un braccio sulla sua schiena e una mano sul suo culo, per premerlo verso di me.
“Sto per venire!”, mi dice allora tra un respiro e l’altro. Estrae rapidamente il cazzo e mentre abbasso le gambe, lui si toglie il preservativo e se lo mena. Ed ecco il succo del suo godimento sgorgare dalla cappella con forza per un lasso di tempo che mi sembra lunghissimo. Alcuni schizzi potenti, biancastri all’inizio e poi quasi trasparenti, atterrano sul mio mento, sul collo, sul petto e sulla mia pancia. Altri finiscono sul lenzuolo che ricopre il materasso. Ormai all’apice dell’eccitazione, aggiungo al suo liquido il mio e mi ritrovo completamente bagnato.
Mi passa delle salviette e io provo a prosciugare il lago, però dopo un po’ mi arrendo. “Faccio prima a rifarmi la doccia”, gli dico. Ab. si mette a ridere.

martedì 5 febbraio 2013

Io torno

È passato un anno. Più di un anno. Ma sembra un secolo.
Il tempo, che già allora aveva cominciato ad accelerare il suo ritmo e aveva in qualche modo suggerito che aprire un blog sarebbe servito a fissare almeno qualche istante, da un po’ ha cominciato a correre velocissimo. 
Io adesso cerco di stargli dietro. Mi rincorro. Mi sto dietro. Sono cambiato già cento volte e ancora non lo so.
Sono incasinato. Molto. Però mi piace stare qua. Perciò, quando posso, io torno.