Camicia a scacchi a maniche corte, pantaloni corti, infradito ai piedi. Capelli nero pece, corti, barba disegnata dalle basette alla mascella, al pizzetto. Occhi neri, sorriso sornione. L’ho pescato dalla solita chat ed è stata questione di qualche minuto, il tempo di scambiarsi un paio di foto e di complimenti, di capire che avevamo entrambi una buona dose di ormoni in circolo e che sarebbe stato quanto mai opportuno incontrarci nel più breve tempo possibile. Cioè un’ora dopo. A casa mia, perché vive in coppia e preferisce così.
Ecco dunque piombare nel mio appartamentino uno di quei rari casi di maschio la cui immagine reale tradisce quella mostrata dalle foto, però al contrario: le aspettative si dimostrano, infatti, abbondantemente sottostimate. Si chiama G., è un pezzo d’uomo (entra e sorride, mi abbraccia e mi bacia subito, ha molta voglia), con il suo petto dolcemente villoso (in un attimo mi toglie la maglietta e comincia a mordere il collo, a carezzare il mio petto; io sbottono la sua camicia e passo la mano sul suo, sfioro i capezzoli e poi li bacio) e con il culo pieno, rotondo (si toglie le infradito, slaccia la cintura e i pantaloni cadono in terra). Mentre mi stringe a sé e io gli palpo il culo, percepisco chiaramente che è già decollato, pronto all’amplesso, al coito. Ma sarebbe più onesto chiamarla monta.
Io sto ancora sul chi vive, forse incredulo o forse catapultato troppo rapidamente nel vortice della sua smania. Tuttavia, un gesto finirà per convincermi in maniera definitiva e duratura: il torello non aspetta che io metta mano al prominente pacchetto che vedo spuntare fra le sue gambe, ma con una mossa rapida di pollici infilati nei bordi degli slip, si sfila anche l’ultimo indumento che rimaneva a coprire il suo corpo. È il punto di non ritorno. Perché? Perché ha un cazzo che sembra un fumetto disegnato da un pornografo raffinato e assai maiale: non molto lungo (saranno 16 o 17 centimetri, bisogna essere precisi in queste cose) però “spaventosamente” grosso, di un diametro uniforme dalla base alla punta, leggermente arcuato verso l’alto e una pelle morbida. A coronare il tutto, un paio di palle grosse, pesanti e non eccessivamente pendenti.
Mentre i segnali di eccitazione che il mio corpo invia si fanno ormai visibili e molto concreti, mi prende per mano e mi accompagna al mio sofà dove gentilmente mi fa sedere. Rimane in piedi accanto a me e sono frazioni di secondo finché io afferro deciso quel grosso manico e me lo ficco in bocca. Ciuccio, mugolo, sbocchino e lecco, sbavo e spompino uno dei cazzi che senza ombra di dubbio salverei da un ipotetico giudizio universale. Vista la posizione in cui mi trovo e il piacere che mostro nel compiere le operazioni di suzione, mi aspetto che da un momento all’altro mi sfondi la bocca a colpi di cazzo, premessa di altre gradevoli aperture. Invece no, mi toglie dalla bocca l’immane battacchio, con una mano mi spinge la testa un po’ più in basso mentre solleva il suo corpo di qualche centimetro. Ho i suoi coglioni contro il mio viso, due palle grandi, calde, morbide. Apro la bocca e lecco in mezzo ai coglioni, cercando di premere il più possibile la bocca contro di lui, poi succhio una palla, poi succhio l’altra e tiro verso di me. Lui si smanetta solo a tratti, ansima e inspira aria rumorosamente: credo che voglia dire “mi piace, continua”, sicché mi dedico al compito assegnatomi con piacere e devozione.
Adesso s’inumidisce di saliva un dito, si china verso di me e cerca il buco del culo. Mi sistemo meglio sul divano, allargando le gambe e offrendogli tutta la mia disponibilità. Come per magia, il suo cazzo torna a visitare la mia bocca e siccome adesso le dita sono diventate due e sono anche state lubrificate con apposito prodotto, io comincio a godere in maniera piuttosto rumorosa. Eccolo il torello che mi domina: in quel mio lasciarmi fare, in quel mio vibrare al ritmo delle sua dita, in quel perdere sfacciatamente il controllo, c’è tutto il mio piacere. E nel mio cervello il desiderio martellante e imperativo di avere quel cazzo nel culo il più presto possibile.
Non c’è bisogno di pregarlo. G. mi fa mettere a pancia in su con le gambe ben larghe e le ginocchia flesse verso il mio petto, il buco del culo esposto e disponibile. Sa come far crescere la mia voglia fino a farmi scoppiare la testa, fino a non poterne più: s’impugna il cazzo e lo sbatte contro il solco del mio culo una, due, decine di volte. Tam-tam-tam-tam-tam! E intanto osserva il mio buco che, lo sento chiaramente, reagisce dilatandosi. Prende il preservativo che lui stesso ha portato e ha appoggiato poco fa sul tavolino, e se lo srotola, mentre io mi lubrifico il culo e passo qualche goccia di gel anche sul suo uccello. Sempre osservando attentamente le parti dei nostri corpi maggiormente interessate dall’operazione, G. punta il cazzo contro il buco e lo fa scivolare dentro. Gemo perché lo sento grosso e mi fa un po’ male. Questo probabilmente lo eccita ancora di più, e lo capisco dai corti movimenti avanti e indietro con i quali cerca di entrare più in fondo. Dopo un po’ metto una mano alla base del suo cazzo e constato che è entrato quasi tutto, eppure continuo a sentire fastidio. Siccome capisco che non resisterà a lungo senza sfondarmi per bene, cioè senza penetrarmi con tutto il cazzo e senza darmi colpi più violenti e profondi, preferisco levarglielo e cambiare posizione. Lo intuisce immediatamente, giacché si alza e si mette in piedi vicino al divano. Io mi sistemo in ginocchio, a pecorina, e inarco la schiena per sporgere il culo più che posso. Lui allora si mette in ginocchio dietro di me, mi afferra per i fianchi e, con un unico colpo secco, è dentro fino in fondo.
Ansimo e con un “sì, così”, gli faccio capire che adesso siamo sulla strada giusta. Anch’io decollo per un viaggio dei più gradevoli. Mi apre proprio bene, sbattendomi forte e senza emettere nessun suono se non una respirazione accelerata. A un certo punto giro la testa per vedere dietro di me: lo specchio appoggiato alla parete vicino al divano, riflette l’immagine del suo culo che sovrasta il mio e dei coglioni che mi sbattono contro. Vederci così, in quella posizione tanto animale e da quel particolare punto di vista, provoca in me quasi un delirio o una sensazione di vertigine nella quale mi perdo. Sicché la sua mano che scende a cercare il mio cazzo, lo impugna e comincia a tirare sulla pelle, è delle più inopportune: “No!”, quasi gli grido, “fermo, altrimenti vengo”. “Ti piace?” mi chiede quindi. “Un casino”, è la franca risposta.
Allora lo sfila e mi fa mettere ancora a quattro zampe, però questa volta, anziché parallelo rispetto alla lunghezza del divano, vuole che stia con le ginocchia sul bordo. In questo modo lui può stare in piedi dietro di me e osservare anche lui lo specchio che ci restituisce ora l’immagine dei nostri corpi di profilo, incastrati e gaudenti. Adesso sta compiendo movimenti molto ampi: la penetrazione è profonda e quando torna indietro, quasi ritira completamente il cazzo dal mio culo, lasciando dentro solo la punta. Poi ricomincia una monta selvaggia, fatta di colpi più forti, più secchi. A un certo punto alza la gamba sinistra, piega il ginocchio, appoggia il piede sul divano ed entra ancora più in fondo. Mette le mani sulle mie spalle, come se volesse entrare dentro di me con tutto sé stesso.
Sento di non poter più reggere tanto piacere, con una mano inizio a sfiorarmi il cazzo e ansimando gli comunico, in tutta sincerità: “Sto per venire”. “Sborra, sborra!”, mi dice. E in pochi secondi scarico tutto sul divano, mentre lui continua la sua corsa sempre più veloce. Quasi immediatamente dopo mi dice “Vengo” e termina dentro di me.
Quello che ha tutta l’aria di essere stato un altro fantastico rappresentante del sesso espresso se ne va qualche minuto dopo essersi lavato sommariamente e rivestito, con un bel sorriso e - anche lui - con un “buona fortuna!”. Altri amori ci aspettano.
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