A volte capita. Programmi un incontro con qualche giorno di anticipo, il tipo sembra affabile e ben disposto e, sebbene qualche dettaglio qua e là ti faccia sorgere più di un dubbio, tutto sembra filare liscio. Fino a che, giunta l’ora x, il tipo sparisce. È un bisessuale: gli va forse concessa l’attenuante? Sarà stato al suo primo incontro con un ragazzo e si sarà pentito all’ultimo momento?
Francamente... Di cazzi ne ho avuti a sufficienza e, con poco impegno, altri ne avrei potuti avere. Perciò me ne infischio e decido che questa domenica la dedicherò alla mia amica V., che non vedo da un bel po’: so che ha passato un brutto momento e ho molte cose da raccontarle. Il timore che avevo prima d’incontrarci, cioè di trovarla triste e di non poterla tirare su, dal momento che anch’io avrei dovuto riferirle accadimenti non proprio gioiosi, svanisce quando finalmente ce l’ho davanti. È sempre lei, V. la forte, la passionale, la caparbia V. Prendiamo una birretta in casa mia, ma fumiamo troppo e l’aria, dopo due ore, si fa decisamente irrespirabile. Usciamo quindi a prendere qualcosa. Nel quartiere, adesso, ho i miei punti d’appoggio per i momenti belli e per quelli brutti e ci sediamo quindi in una terrazza a prendere qualcosa di leggero. L’asfalto sembra liquefarsi, i palazzi restituiscono il calore del sole moltiplicato per cento, le piante e tutti gli abitanti di questo bubbone di città sembrano evaporare e svanire nell’arsura. La gente che vedi in giro, se non è seduta sulle panchine all’ombra degli alberi, agitando nervosamente le mani davanti al viso con l’illusione di scacciare in quel modo il calore, cammina per strada lenta, lentissima.
Verso le dieci di sera, mentre il sole tramonta, suona il cellulare di V.: è la sua ragazza che la reclama. Paghiamo il conto, ci salutiamo ed io mi avvio verso casa, dove mi aspetta una cena parca, una serata tranquilla con l’idea, finalmente, di andare a letto presto e dormire molto.
Pia illusione. Accendo il computer e mi metto in chat: vuoi vedere che si è collegato il bi? No, non c’è. Però... Blip! Mi scrive un venticinquenne, biondo, sorriso a novanta denti e lingua sciolta:
“Mmmm, che sorriso! E chissà cosa ci sarà dietro... ;-) Che bocca baciàbile!”.
“Beh, grazie... Però anche tu hai un sorriso molto bello”.
“Grazie! Ti va di conoscerlo?? Vado al sodo, perché mi sembra di capire che ti piace così...”.
“Ovviamente”.
Il dialogo si fa poco a poco più surreale, leggermente inquietante:
“Mmmm, che ne dici di questa notte? Per terminare il fine settimana di San Giovanni insieme, divertendoci? Un po’ di sesso (o molto), chiacchierare, e quello che ci va, ahahahah”. Ha scritto davvero “il fine settimana di San Giovanni”? Strabuzzo gli occhi.
“Certo che vai dritto al sodo, sì. :-) Va bene, e come facciamo?”.
“No, beh, dipende... Vengo io o vieni tu e poi veniamo insieme... ahahahah... E, mentre ci conosciamo fisicamente, possiamo condividere anche cose mentali, sempre che ce ne siano... ahahahah. E possiamo bere una birretta, visto che fa molto caldo e così, attraverso questo procedimento, liberiamo i nostri ormoni che si accumulano nei nostri corpi a causa del calore, eccetera. Che te ne pare?”.
A me pare che mi sta prendendo in giro o che, con ogni probabilità, si tratta di un pazzo scatenato. M’incuriosisce molto, perciò continuo:
“Va bene, allora, ci conosciamo fisicamente e mentalmente, liberiamo ormoni e, attraverso il medesimo procedimento, anche endorfine. Mi sembra una buona idea, sì”.
“Io sto in piazza Tale. Sto in casa di un’amica che è in vacanza e mi ha lasciato le chiavi per annaffiare le sue piante ahahahah. Mi ecciterebbe farmi una scopata qui ahahahah. Però se non vuoi muoverti, posso venire io, mi piace camminare”.
Ospitalità, Milk, ospitalità innanzitutto:
“Ascolta, hai già mangiato? Te lo chiedo perché io non ho ancora mangiato niente, sicché se vuoi puoi venire qui e, dopo aver espulso quello che dobbiamo espellere (ormoni ed endorfine, intendo), possiamo cenare. Non ho molto però possiamo arrangiarci con quel che c’è. Più tardi possiamo uscire a prendere una birra in via Tizio o nei dintorni”.
“Fantastico!! Dieci minuti fa mi è venuta una fame... Ahahahah... Geniale!!”.
E qui inizia, nella mia testa, il film horror:
“Dammi l’indirizzo esatto esatto”, mi scrive, “perché stanotte mi è morto il telefonino”.
Dunque, ricapitolando: di lui so solo che ha venticinque anni, è carino e gli è defunto l’unico mezzo al quale potrei raggiungerlo e dal quale risalire, se ce ne fosse bisogno, alla sua identità. Non so dove vive e non ho uno straccio di numero di telefono. La versione light della sceneggiatura che già si srotola nella mia mente, prevede come minimo il furto del computer e della carta di credito con relativo codice, a cui seguirebbe una più che seccante denuncia alla polizia; e se poi non lo beccano e questo torna? Sottovariante: si presenta con “un amico che vuole scopare anche lui, è attivo, non preoccuparti”, così sarà più semplice per loro tenermi a bada mentre riempiono il bottino. Nella versione splatter, invece, questo simpatico ragazzo è effettivamente un maniaco omicida che, solo dopo aver scopato e precisamente per quello, mi congelerà, fatto a quarti, nel mio stesso frigo. E addio Milk.
“Preferisco venirti a prendere io stesso alla fermata della metro Caio”.
“Va bene, tra quanto tempo vuoi che arrivi? Io posso uscire subito”.
“Diciamo alle 23,30?”
“Va bene. Indosso una maglietta con una bandiera della Gran Bretagna, sicché è facile riconoscermi. Mi chiamo A.” (ed è un peccato non poter riportare il nome per esteso, perché sembra uscito dritto dritto dalla penna di Alessandra; elemento che aggiunge inquietudine a inquietudine).
M’infilo in bagno per una doccia rapida e intanto dico a me stesso che, qualsiasi cosa sospetta io noti, anche la più stupida, non lo farò salire. “Ufff, che sete che ho! Incredibile! Andiamo a prendere qualcosa al bar, subito!”. Suonerà artificiale, ma è sempre meglio che finire al camposanto.
Si avvicina l’ora e io muoio d’ansia e di curiosità. Mi vesto con maglietta, pantaloni corti, infradito. Da qui alla fermata della metro sono pochi passi, un minuto e mezzo a piedi, secondo i miei calcoli. Basteranno, al ritorno, per intuire chi sto per mettermi in casa? Lo scorgo da lontano: sembra corrispondere alle caratteristiche della foto e porta, effettivamente, una maglietta con i colori dell’Inghilterra. Ci salutiamo e cominciamo a parlare, avviandoci verso casa. Mi sembra che vada tutto bene: si vede che gli piace parlare e relazionarsi con gli altri ed è pure un po’ complimentoso.
Tutte le paure vengono dissipate quando siamo in casa. È davvero uno studente, viene dall’Ungheria ed è qui da quattro anni per studiare Storia dell’arte all’università. È un po’ più basso di me e sorride in continuazione mentre parla ed agita nervosamente il corpo, quasi volesse sottolineare e poi prolungare fisicamente quel che dice. È molto simpatico, pieno di vita, un bel po’ scapestrato (ma quale studente straniero non lo è, alla sua età?) ed è proprio questa freschezza che mi piace in lui. Ha la curiosità e la vitalità tipica dei vent’anni e con lui, adesso, bevo birra e accendo sigarette con le piastre elettriche, visto che il mio accendino è passato a miglior vita. “Davvero si può accendere anche con le piastre? Non lo sapevo...”, gli dico io, sentendomi di colpo vecchio, ricordando i miei tempi all’università. “Come no... Dopo ci accendiamo anche una candela, così non dobbiamo ripetere continuamente l’operazione”...
Le chiacchiere si fanno dense e sempre più divertenti: Italia-Ungheria è un bel match. Decido però di trasferire le birre dal tavolo grande al tavolinetto davanti al divano e di accendere la lampada piccola. Ci sediamo vicini e l’ambiente, ora più intimo, aiuta il contatto: delle mani, innanzitutto, che esplorano il mio petto e il suo, poi delle nostre bocche e delle lingue, che si allacciano e non vogliono allontanarsi l’una dall’altra mentre l’attenzione si concentra ora di più sulle gambe, poi sui rispettivi pacchi e infine sul mio culo. Ad un certo punto, ci leviamo di colpo tutto, maglietta e pantaloni.
“Io non porto gli slip”, mi avverte sorridendo, “ultimamente li trascuro un po’...”. E che m’importa? Adesso vedo un bellissimo paio di coglioni, grossi, morbidi e penzolanti, sormontati da un uccello già quasi completamente in tiro. Ci sediamo uno di fianco all’altro e cominciamo a masturbarci reciprocamente, mentre ci baciamo. Il suo cazzo s’impugna bene, sarà lungo quanto il mio, ma è più fino. Dopo un po’ mi chino e comincio a succhiarglielo. Gli piace e mi chiede di continuare. Mi metto allora in ginocchio davanti a lui, lo prendo in bocca e mi dedico all’operazione con molta cura. Cerco di farlo scendere in gola più che posso e, quando è dentro al massimo, lo sento gemere. Allora gli accarezzo le palle, le prendo nella mano a coppa, sollevandole. Poi le lascio andare di nuovo, le accarezzo e poi le lecco e le succhio tirandole delicatamente con la bocca.
“Sono molto piene”, mi dice A., “credo che verrò in fretta”.
Quando riprendo a spompinarlo, mi prende la testa con le mani e comincia a muovere il bacino su e giù per scoparmi la bocca. “Non vuoi mettermelo in culo?”, gli chiedo io. “Preferisco che mi faccia un bocchino, mi piace”. Io allora continuo e dopo un po’ lo sento gemere: “Vengo!”. Allora lo toglie dalla bocca, se lo mena e in pochi secondi lo vedo schizzare sul suo petto, dove la sborra calda, in notevole quantità, si deposita sui suoi peli. Anch’io, nel frattempo, mi sono smanettato e ho goduto, là sotto. “Spompini proprio bene, sai?”, mi dice asciugandosi con un po’ di carta igienica.
La cena, che sarebbe stata già molto frugale anche solo per me, diventa spartana se divisa in due. Me ne scuso con lui, ma non gliene importa granché. Continuiamo a parlare, seduti al tavolo grande bevendo vino, completamente nudi. Mi piace moltissimo il suo corpo e, soprattutto, adoro come lo porta in giro: ha una dimestichezza, una naturalità, una sfrontatezza, quasi, nel fumare nudo e nel muoversi davanti a me senza il benché minimo pudore. Sembra quasi che la sua nudità riempia la stanza e riaccenda il desiderio continuamente. Lì è la sua vera bellezza.
“Scusa”, mi fa a un tratto guardandosi il cazzo, fattosi duro come la pietra, “credo di essere di nuovo eccitato”.
“E perché ti scusi? Adesso ci penso io”.
E così si siede di nuovo sul divano, io m’inginocchio e ripetiamo l’operazione che tanto gli garba. Veniamo così una seconda volta, ansimanti e sudati, felici, elettrizzati. Gli propongo di andare a letto, visto che sono già le cinque di mattina. Dormiamo profondamente finché, alle nove e mezza, A. mi sveglia e mi fa: “Io penso che dovrei andare, il dovere mi aspetta” e io rido, pensando alle enormi responsabilità che devono incombere su questo venticinquenne. “Va bene, però a pancia piena. Facciamo un po’ di colazione e poi vai, che ne dici?”.
Pane tostato e marmellata, tè e ciliegie è tutto ciò che posso offrirgli. Ben contento, A. divora tutto e mi chiede dell’ungherese più nota in Italia, Cicciolina. Che fine avrà fatto Ilona Staller? E ridiamo come scemi raccontandoci stronzate per due ore. A. se ne andrà verso le undici e mezza. Io resto a casa, un po’ stordito e molto allegro, pensando ai casi della vita.
A parte il fatto che ho riso come una demente alle tue visioni splatter, IO devo sapere quel nome!!!
RispondiEliminaFigurati che gli ho anche chiesto: "E così ti chiami proprio A.?", e lui mi ha detto che nel suo paese è un nome abbastanza diffuso. Certo non potevo ridere apertamente del suo nome, ma dentro di me... Te lo mando in privato.
RispondiEliminaSecondo me si chiama Abelardo
RispondiEliminaNo, ma anche se fosse non lo direi mai.
Elimina"E perchè ti scusi?" Sei un genio.. O_°
RispondiEliminaNotevole capacità di ripresa, no? Perché scusarsi di una cosa così bella, dico io...
EliminaCiao, bell'uomo..:-))
EliminaCiao bella donna, più presente che assente, per fortuna.
EliminaMilk, la maleducazione non ha attenuanti.
RispondiEliminaTi facevo più temerario dentro. :D
bacio.
No, io sono un fifone! Obiettivamente, era inquietante.
Eliminaahahaha ecco perché sei nel mio cuore impavido! :D
RispondiEliminaE io a quel cuore impavido alla fine cedo!
EliminaPensa che la prima volta che ho conosciuto un uomo incontrato su internet non ho detto nulla a nessuno e pensavo a quando mi avrebbero trovata cadavere,uccisa da diverse coltellate e buttata dentro un cassonetto della spazzatura!!!
RispondiEliminaChe poi, non è che furti o omicidi non accadano proprio mai, eh. Però certo, tra prendere qualche precauzione di buon senso e precipitare nella paranoia, c'è un abisso.
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