Erano all’incirca le otto e venti di questa sera e la storia si trovava a un bivio. I due protagonisti non lo sapevano, ma dopo aver scelto la strada, almeno per uno di loro le prospettive sarebbero cambiate drasticamente. Uscirne salvi anche se malconci o perdersi per sempre. Uno o due. A o B. Svolta o linea retta. [“Gli interlocutori ce li scegliamo noi, inutile ingannarsi”. Profetica Rob.].
Il pomeriggio era trascorso esattamente come doveva. Era bastata una serie di rapidi messaggi via Whatsapp, come sempre. Li avevo inviati all’ora di pranzo ed ero stato convocato per le sei a casa sua. As usual. Così, terminato presto il lavoro, me n’ero andato a casa a fare una doccia e a prepararmi per l’incontro.
Non ho potuto fare a meno di quell’abbraccio. Era avvolgente, caldo, sensuale. È stato dolce e ha avuto il potere di sciogliermi ancora una volta. Abbiamo scherzato molto oggi, io mi sono rilassato in fretta, abbiamo preso qualcosa da bere, abbiamo riso e ci siamo abbracciati di nuovo, baciati e poi carezzati, baciati e riabbracciati, riaccarezzati... Ma io non dovevo chiarire alcune cose? O almeno comunicarle? Dire finalmente in modo esplicito quello che io sentivo per lui?
Ma che importava allora. Ancora una volta mi ha preso per mano, pochi passi verso la sua camera da letto e poi il sesso. La scopata. Io a pancia in su e le gambe piegate verso il petto, i polpacci appoggiati alle sue spalle. I colpi del suo cazzo e i baci. La mia mano che sfiora il suo buco e le palle. I suoi capezzoli duri e la supplica - di nuovo, la stessa - “piano, piano, fallo piano”. Ed io no, proprio il contrario: chiavami più forte che puoi, lasciati andare a quel che cazzo vuoi, spingi più in fondo, fammi credere anche solo per un po’ che resterai per sempre lì, conficcato nella mia carne e che non te ne uscirai più.
E poi l’orgasmo a pecorina, certo, in una sintonia che era sinfonia, armonia, melodia tutta nostra. L’orrore del rivestirsi, così in fretta (perché poi? Perché era tardi? O voleva tagliare corto?). Si avvicinava l’ora. Aveva voglia di uscire e si è proposto di accompagnarmi per un pezzo. Doveva finire a prendere qualcosa in un bar del quartiere gay (da solo, ma si sa che Whatsapp funziona meravigliosamente bene). Instancabile R. “Ma non voglio sesso, eh”. Ci mancherebbe, scherzo io.
Siamo giunti allora nella grande piazza, il centro di questa città, il centro di una nazione intera ma per me, oggi, il centro dell’universo. Potevamo separarci semplicemente e seguire ognuno la propria strada. Le luci della sera, l’andirivieni di centinaia di persone, gli autobus e i taxi, qualche gruppetto di turisti e gli ultimi avventori dei grandi magazzini: scena e comparse del nostro imminente saluto. Invece, tutto si ferma durante un istante solo: “Senti, perché non ci prendiamo qualcosa insieme, adesso?”. È lo schiudersi di un’altra possibilità. “Non fare lo stupido” - e si spalanca il suo sorriso - “sai che devi andare”. “Però a me va di prendere qualcosa con te adesso. A te?”, insisto. “Va bene, allora ti faccio conoscere un posto che è tipico della mia regione”. E nella sua regione si beve, fortunatamente, molto bene. E si mangia, pure.
Gli ho proposto una seconda bottiglia. Quella che mi serviva per ascoltare, soprattutto, e per dire poco, come al solito. Però le lacrime hanno raccontato molto: “Ti senti immedesimato?”, mi ha chiesto. Calde e vere. Le sue parole si riverberavano nei miei pensieri ed era come sentir pronunciare ciò che non avevo mai osato dire. Come assistere al film di ciò che inevitabilmente, di qui a poco, mi accadrà. Perché nella sua crudelissima storia di negazione di sé per ciò che convenzionalmente si chiama “amore” per un’altra persona, ho visto inequivocabilmente il mio stesso annichilimento: lento e lunghissimo, ma inesorabile, intenso ed orribile.
Dopo questa notte, non c’è più spazio per l’autoinganno: la mia coppia, se non è finita oggi (o persino ieri), finirà domani. Ed ecco il vero bivio. Ecco la scelta: essere persona o, come efficacemente diceva R., “vegetare”.
Non ho sentito finora parole più lucide di quelle udite qualche ora fa. Non sono stato capace di un pensiero su di me (e sul mio compagno) più netto, più spietato di quello espresso da R. mentre si riferiva alla sua vicenda. Per questo, grazie R., grazie infinite, davvero. La prima batosta è stata sapere che tu ora solo cerchi divertimento, che per il momento stai bene così. E dunque che io non sono altro che uno in più. E neanche il più importante. La seconda è stata sentire raccontare la tua storia con la crudezza, la freddezza e la consapevolezza che avrei voluto avere io, già molto tempo fa. Quella storia era la mia.
Adesso o si prende il coraggio a due mani, o non si è. Mi resta un’infinita tristezza. Una melanconia immensa. E io ti ringrazio, R.
Come assistere al film di ciò che inevitabilmente, di qui a poco, mi accadrà. Perché nella sua crudelissima storia di negazione di sé per ciò che convenzionalmente si chiama “amore” per un’altra persona, ho visto inequivocabilmente il mio stesso annichilimento: lento e lunghissimo, ma inesorabile, intenso ed orribile. - NE VOGLIO SAPERE DI PIÚ...
RispondiEliminaNon so se soddisferà la tua curiosità, però certamente qui trovi il seguito: http://milkporn.blogspot.com/2012/03/prima-che-sia-troppo-tardi.html
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