“Esco dal lavoro alle 10”. Dunque, ricapitolando: è nero, attivo, bisessuale in coppia, giovane, bel cazzo, va in moto (una foto lo ritrae a cavallo del suo bolide) e lavora di notte. L’appuntamento, preso in pochi minuti con una rapidità che, come sempre accade in questi casi, mi sconcerta e mi preoccupa, è vago: “Appena esco vengo dalle tue parti e ti chiamo per dirti che sono arrivato, dammi il tuo numero”. Altro elemento d’inquietudine: gli do il mio numero, ma lui non mi dà il suo. Dai pochi scambi avuti in chat, sembra fin troppo diretto e duro. Mi alzo presto e mi preparo per l’incontro, ma più volte mi ritrovo a pensare che probabilmente non verrà, che potrebbe essere un pacco.
Le prime impressioni negative vengono smentite appena fa la sua comparsa sul pianerottolo di casa mia. È più alto di me, un fisico ben piazzato, spalle larghe, braccia e gambe appaiono forti. Porta una maglietta azzurra e leggerissima, dei jeans dal taglio molto giovane, scarpe da ginnastica. Mi sorride d’un sorriso bellissimo, le labbra sono carnose e i denti bianchi. Entra nell’appartamento e ogni secondo che passa mi sembra più bello e attraente. Eccone un altro che si ambienta facilmente: “Scusa, posso andare in bagno? Mi sto pisciando addosso...”. Che accento ha? Non è di questa città, viene da fuori, ma non riesco a capire da dove, confuso anche dal colore della sua pelle. Senza aspettare la mia risposta, si dirige già verso il bagno, come se fosse stato qui mille volte e sapesse dove si trova.
Ci sediamo, vuole solo un bicchiere d’acqua. Mi parla di sé con il volto disteso, il sorriso sulle labbra. J. è medico, lavora per uno degli ospedali della città e ieri notte era di guardia all’unità di terapia intensiva. È originario di una regione molto distante da qui, ma si trova in questa città da ormai alcuni anni, da quando studiava medicina. Cosa trasmettono i suoi gesti, il timbro della sua voce, il suo sorriso? Fiducia, apertura, calore, vicinanza. Virtualmente, è come se stessimo già scopando. O come se quello fosse un antipasto, non scontato, di qualcosa che accadrà e che stiamo già assaporando: parlando, osservandoci l’un l’altro, fiutando testosterone.
Ci sistemiamo uno accanto all’altro sul divano, senza scarpe. È lui a prendere l’iniziativa. Con uno scatto, come se stesse superando un piccolo ostacolo mentale, si avvicina di più a me e mi bacia. Sono baci lunghi e riflessivi, ad occhi chiusi. Io ci metto la passione, cerco in quei baci qualcosa di ardente, mentre lui raffredda e lavora con pazienza mordendo le mie labbra, cercando con la lingua la mia lingua, respirando piano, quasi impercettibilmente. Sembra suggerire: non c’è fretta, prendiamocela con calma. Allora mi abbandono, i muscoli del mio corpo sembrano rilassarsi, mi lascio facilmente comprimere contro di lui da quelle braccia forti, muscolose, che adesso accarezzo scoprendo, sotto la mezza manica della maglietta, un tatuaggio a forma di cuore trafitto dalla classica freccia. Nessun nome.
Ci togliamo le magliette e torniamo ai nostri giochi. Il suo petto largo è ricoperto di peli che però lui accorcia radendoli quasi a zero. I capezzoli, grandi e duri, richiedono la cura delle mie mani, delle carezze delle mie dita e poi delle mie labbra. Passo una mano su quel viso esplorando le sopracciglia e poi la testa rasata. La virilità che comunica accelera i battiti del mio cuore e il ritmo del mio respiro. Adesso, mentre lui rimane seduto sul divano, io mi metto davanti, in ginocchio. Si china verso di me e fa scivolare una mano in basso, dentro i miei pantaloni, sotto gli slip. Sta cercando il buco. Lo trova. “Mmmm”, mentre si ferma lì e ci gioca un po’ con un dito. Non sono ancora nudo del tutto, eppure lo sento aprirsi leggermente. Troppo presto.
Metto una mano su una sua coscia mentre l’altra accarezza il pacco. Lo guardo dritto negli occhi, le parole non servono. Si alza, slaccia la cintura, sbottona i pantaloni e con un gesto solo li sfila insieme ai boxer. Eccolo lì, nudo come un verme eppure potente, per niente indifeso. Ha il cazzo lungo, dello stesso spessore dalla base lungo tutta l’asta, mentre la cappella è più grossa, ricoperta quasi completamente dalla pelle, più scura che nel resto del corpo, e finissima. Mi spoglio anch’io. Si siede nuovamente sul divano, le gambe leggermente divaricate, in modo che io possa inginocchiarmi di nuovo comodamente davanti a lui. Questo uccello me lo voglio proprio godere.
Con una mano lo accarezzo delicatamente, sfiorandolo dalla base alla punta. È estremamente sensibile, perché a ogni passaggio delle mie dita si tende ancora di più, si muove, scoprendo di qualche millimetro in più la cappella. Allora lo impugno e faccio scivolare la pelle verso il basso. Contemplo il risultato e sono tutt’occhi. Io non sono più né corpo né mente, ma eccitazione pura, adorazione per quello strumento del piacere duro, grosso, pulsante. Vivo e vitale. E così comincio a leccargli le palle, grandi, lisce e morbide, e poi risalgo, solo con la lingua, lungo l’asta e, prima di arrivare alla cappella, ridiscendo. Mugola e pronuncia un “sì”, che suona come un incoraggiamento alla ripetizione. Eseguo e lo lascio osservare l’unione del suo cazzo col mio viso, con la mia lingua. Quanta forza deve sentire in sé un uomo che vede tanta irresistibile attrazione e adorazione per il suo cazzo in tiro?
Lo afferro stringendo il pollice e l’indice alla base e dirigendolo verso la mia bocca. Non la apro del tutto ma solo un po’, in modo che entri solo la cappella. La succhio, la lecco, la bacio quasi. Il suo sguardo è fisso su di me e so perfettamente cosa desidera. Eppure non usa le mani, aspetta di vedere quali sono le mie mosse, lo eccita constatare che l’iniziativa, per il momento, è mia. Allora apro la bocca e, con le labbra ben strette contro il suo cazzo, lo faccio entrare. Sta mugolando di nuovo. È uno di quelli che non teme di esprimere ciò che sente, che non reprime le manifestazioni di godimento. Ed è un eco che si riverbera in me, dandomi ancora più voglia, moltiplicando al quadrato la mia eccitazione.
Vado su e giù, cominciando il pompino vero e proprio. Un po’ mi aiuto con la mano e un po’ no. Ad un certo punto, dalla traccia di saliva lasciata dalla mia bocca sul suo uccello mi accorgo che sto arrivando a mettermelo in bocca solo fino a metà. Provo una gola profonda: trattengo il respiro, lo faccio scivolare più in fondo... sta passando; cerco di aprire la gola il più possibile, mentre sento la sua cappella insinuarsi proprio lì. “Oh, sì, sì!”, dice mentre, facendo forza sulle gambe, solleva il bacino per offrirmi meglio il cazzone duro. Il mio obiettivo è almeno sfiorare con il labbro inferiore le sue palle, ma sono giunto ormai al massimo delle possibilità e allora risalgo e ricomincio a spompinarlo, lavorandolo solo con la bocca. Mi metto a fargli di nuovo una gola profonda, allora mugola, tende nuovamente il bacino e, questa volta, mi mette le due mani sulla testa perché vuole trattenermi lì, immobile col suo cazzo in fondo alla gola. Quando lascia leggermente la presa, comincio il movimento di risalita, allora lui spinge di nuovo la mia testa verso di sé, gemendo. Comincio allora dei piccoli movimenti di bocca su e giù, in modo che la cappella possa sfregarsi contro la mia gola e dargli quel piacere che, a giudicare da come ansima, gli sto effettivamente procurando.
Il preliminare ci sta scaldando non poco e continuiamo a giocarlo tutto su queste varianti: pompino senza mano, con mano, gole profonde, leccate interlocutorie a cappella, asta e coglioni. “Voglio mettertelo in culo”, mi dice infine, sufficientemente riscaldato perché la monta possa avere luogo. Che io sia in calore e pronto all’uso è altrettanto evidente, ma J. vuole sincerarsene insalivandosi un dito per poi farlo roteare sfiorando il bordo del mio buco. Sono ancora in ginocchio e lui, seduto sul divano, è adesso chino sopra di me. Quel contatto umido eccita a dismisura uno come me, che sembra avere concentrata tutta la sensibilità nel culo. Quindi mi scappa un “oh” e ansimo mentre lo abbraccio e mi aggrappo a quel maschio forte. Il suo dito s’infila in un attimo nella mia parte più intima, sicché adesso è facile la constatazione: “Ce l’hai aperto”. Ben sapendolo, “Voglio che m’inculi”, gli dico io di rimando. Piccolo minuetto verbale per lubrificarci la mente mentre metto una goccia di gel nel mio buco e ne spalmo un’altra su quel cazzo duro che J. ha già provveduto a inguainare in un preservativo.
Non ha bisogno di dirmi niente perché io voglio offrirmi veramente a questo ragazzo, mostrargli tutta la voglia che ho di tenerlo dentro di me, qui, adesso. E così mi metto a pecorina sul divano, cercando di sporgere il culo il più possibile, in modo da eccitarlo ancora di più e da lasciare il buco bene in vista, raggiungibile, offerto, appunto. Non mi penetra subito ma, in piedi dentro di me, lo osserva. Le parti si sono, in un certo senso, invertite: adesso è lui che adora il mio culo, adesso è il mio buco che, immancabilmente, lo attrae a me. Finalmente si impugna il cazzo, lo avvicina al mio culo e con un colpetto ci infila dentro la cappella. Mugolo. Lui toglie la mano dal cazzo ed esegue un movimento in avanti a velocità costante. “Mmmm”, emetto di nuovo, ma è solo piacere, senza nemmeno un filo di dolore. Si blocca a metà, guardo dietro di me e lo vedo intento a osservare attentamente la penetrazione. Sporgo una mano dietro, afferrandolo per una coscia, quasi all’attaccatura del suo culo, e lo spingo verso di me. Alza lo sguardo, lo posa sul mio viso e improvvisamente, dando un colpo violento, infila tutto il cazzo nel mio culo. Grido e gli dico di sì, dieci, mille volte, un miliardo di volte. Si sta già scatenando e i suoi movimenti avanti e indietro dentro di me sono rapidi e non molto profondi. In questa prima fase è la parte esterna dell’ano, la più coinvolta: non ancora completamente dilatata, esercita una certa pressione sull’uccello di J. che spinge, spinge e sbatte più che può, ora con i piedi appoggiati in terra, ora con una gamba flessa e poggiata sul divano.
La seconda fase inizia quando il buco raggiunge la sua massima apertura (massima per lo spessore del cazzo che lo penetra, beninteso): allora chino il busto fino ad appoggiare la testa sul divano, il culo bene in alto, facendo sì che quella e solo quella parte del corpo resti facilmente raggiungibile da J. che sta dietro di me. Non a caso, la monta è adesso molto più profonda e la punta del suo cazzo sbatte dentro di me e a ogni colpo sento un piacere enorme, anarchico: dal punto più profondo del mio culo, stilettate di godimento creano onde concentriche che si propagano per il mio corpo toccando e travolgendo tutto, finché giungono al cervello e lo fanno scoppiare, inondandolo di una sensazione lancinante. Per questo sto gridando, J., per questo mi afferro al divano e mordo il cuscino. Mentre tu stai montando questo animale in calore rompendogli il culo, io sto cavalcando quelle onde e sono senza freni, senza limiti, senza redini. Grido la mia libertà. Anche questo è orgasmo, e dei più deliziosi.
Si blocca, forse si stava spingendo troppo in là, forse voleva riprendere il controllo su se stesso, forse era già al bordo di quel limite oltre il quale, per un maschio, non c’è ritorno. Sporgo nuovamente la mano, ma la metto direttamente sul suo culo, già ricoperto da un velo di sudore: “Non ti fermare, ti prego”, lo imploro ansimando. Allora ricomincia a sbattermi e, dopo un po’, sento che pianta bene il cazzo in fondo al mio culo e lì si muove con movimenti cortissimi e molto rapidi. Mi piace e glielo faccio sapere, meglio che posso. Poi ricomincia con movimenti più ampi, dentro e fuori, però ogni volta che arriva in fondo, dà un colpo secco e molto forte, che mi fa sussultare.
“Distenditi”, mi dice allora. Io mi allungo sul divano e J. mi sistema il culo in modo che stia aperto quanto basta perché lo possa penetrare nuovamente stando sopra di me. È una cavalcata leggera ma costante, mentre mi sussurra dolcissime oscenità all’orecchio: “Deve averne presi di cazzi questo culo... È questo che ti piace, prenderlo dietro, no? Allora ti do quello che piace a te, prendi!”. Nelle mie risposte, sussurrate o meglio, rantolate, non sono da meno: “Mi piace farmi inculare, mi piace il tuo cazzo. Dammi il tuo cazzo, dài, ancora”. Dopo un po’, sfila l’uccello e io mi alzo. Lui si siede sul divano, si prende il cazzo in mano, lo muove e, guardandomi negli occhi, mi dice: “Vieni, mettitelo dentro”. Io allora mi giro e, dandogli le spalle, fletto le gambe divaricate e me lo faccio entrare. Adesso sono io che cavalco lui, agitandomi sopra quel palo che cerco di piantarmi più in fondo possibile. Dopo un po’ comincio a sentire tutta la fatica nelle gambe. Mi alzo facendo uscire il cazzo. Noto che dal buco esce un liquido vischioso che cola lungo le gambe, un miscuglio di lubrificante artificiale e di quello naturale prodotto dall’ano quando è sottoposto a sollecitazioni forti e prolungate. Mi chiede se possiamo fare una pausa. Gli sorrido: “Certo”. Si toglie il preservativo e va in bagno. Dopo ci vado anch’io e ne approfitto per lavarmi il culo e le mani.
Quando torno nel saloncino, noto che non ha perso l’erezione. È seduto sul divano e mi sorride. Io mi sistemo a quattro zampe a fianco a lui in modo da tenere la testa sopra il suo cazzo e il culo a portata della sua mano. In effetti, è proprio così che procedono poi le cose: gli afferro il cazzo con una mano e comincio a spompinarlo piano, poi a un ritmo sempre più forte. Lui ansima, mi mette una mano sul culo e gioca col mio buco, infilandoci prima un dito, poi due, infine masturbandolo freneticamente. Anch’io mi diverto col suo uccello: con le labbra tiro sulla pelle del prepuzio finché non riesco a ricoprire interamente la cappella. “Resta così, a pecorina”, mi dice allora, “ti voglio scopare di nuovo”. Prende un altro preservativo, se lo infila, poi si mette dietro di me e questa volta entra in un colpo solo, forte, violento, ben assestato. Grido e, siccome l’intuizione non gli fa difetto, mi dice: “Ti piace il cazzo, eh?”. La monta adesso è quasi violenta, i colpi sono profondi, forti e frequenti e io stringo un cuscino nelle mani mentre sporgo il mio culo ancor più verso di lui, e mi pare quasi di sentire tutto il mio corpo svuotarsi, come se tutta l’energia che ho dentro potesse passare attraverso il buco, uscire e avvolgere quel maschio che, dietro di me, sembra quasi voler percorrere il cammino inverso: entrare tutto dentro. La sensazione è talmente forte e gradevole che gocce di sborra fuoriescono dal mio uccello in tiro e cadono sul divano. Probabilmente se ne accorge e decide allora di provare una stimolazione meno profonda ma non meno intensa: lo sfila dal culo completamente e lo rimette, poi lo sfila di nuovo e subito lo ributta dentro. A volte si ferma fuori e con la cappella gioca con il bordo del buco, solleticandolo, aprendolo leggermente o penetrandolo solo un poco. Una goccia del suo sudore, poi un’altra - tic, tic - cadono sulla mia schiena. Mi giro e vedo il suo volto bagnato, il suo petto grondante. È bellissimo.
La varietà delle sensazioni che provo è così ampia che è quasi inevitabile chiudere gli occhi e perdermi in quel mare. È la prima volta che mi chiava, eppure sa fare esattamente quel che a me piace, ciò che mi manda in visibilio. La nostra intesa, che spero duratura, si salda, almeno per quanto mi riguarda, in questo momento. A lui però non basta. Lo intuisco quando mi dice: “Ti voglio prendere in piedi”. Allora volentieri mi alzo, appoggio le braccia contro la parete piegando leggermente il busto in avanti e divaricando le gambe. Non faccio in tempo a guardare dietro di me che è già dentro e riprende a fottermi: “Che buon passivo che sei”, mi dice, “hai un culo fantastico”. Poi mi sistema in modo che l’immagine dei nostri corpi si rifletta nello specchio appoggiato in terra. “Guarda”, mi ingiunge, “guarda come entra il cazzo, guarda!”. Aumenta la rapidità dei movimenti. “Questo cazzo è tutto per te, guarda!”. I colpi si fanno più violenti. Nello specchio vedo il suo bacino ondeggiare dietro di me, il suo culo sodo contrarsi ritmicamente, i suoi muscoli tendersi. Sta ansimando e gemendo, ma riesce a dirmi: “Voglio tornare a darti cazzo, voglio tornare qua e scoparti ancora di più”. Capisco che siamo vicinissimi alla fine. “Oh, sì, voglio ancora il tuo cazzo!”, riesco a dire io, ma lui già grida: “Ah, vengo! Sto venendo!”. Come sempre in questi casi, è sufficiente che io mi sfiori l’uccello con una mano, per provocarmi l’ultimo orgasmo (quello dovuto alla stimolazione del cazzo). Veniamo all’unisono, gemendo entrambi. Rimaniamo in piedi per un po’, con i corpi incastrati e ancora ansimanti, poi lui, con l’uccello ancora nel mio culo, mi abbraccia da dietro sollevandomi il busto, accarezzandomi i capezzoli e baciandomi il collo. Sento il suo respiro affannoso nel mio orecchio. Sporgo le braccia all’indietro per poter toccare il suo corpo a mia volta.
Quando si ritira dal mio culo osserva il suo uccello, poi mi guarda e, sfilandosi il preservativo, mi fa: “L’ho riempito bene, eh?”. Effettivamente, la quantità di liquido biancastro è notevole. Lo mette in un po’ di carta igienica che gli ho passato e me lo consegna. Io lo appoggio distrattamente sul tavolino vicino al divano, senza accorgermi che non ci ha fatto il nodo e spandendo così una buona quantità di sborra che ritroverò tra qualche ora, piacevolmente stupito.
Siamo entrambi seduti sul divano, taciturni e rilassati. Rompe il silenzio chiedendomi se sento anch’io l’effetto delle endorfine liberate nei nostri corpi dall’orgasmo. Sì che lo sento, dottore, è la mia droga preferita.
Prima di andarsene mi darà un abbraccio davvero caloroso e, un’ora dopo, mi invierà un messaggio: “Che bello che è stato e che sorpresa piacevole. Un abbraccio. J.”.
Rosee prospettive.