Che cosa conta in questo preciso istante? La luce che penetra le finestre riverberando violenta il candore della stanza? O i battiti accelerati del mio cuore mentre rimango disteso e fermo davanti a te, torcendo il busto per guardarti in faccia? Forse il mio affanno che assorbe la fissità di quest’attimo sospeso, una parentesi di silenzio inesplicabile?
Qualche secondo fa te lo sei preso in mano e con lucida lentezza l’hai estratto dal mio culo. Piano, centimetro dopo centimetro, hai fatto uscire questo uccello grande e duro dal suo occasionale rifugio. I tuoi occhi, che miravano dritto tra le mie cosce, si sono allora velati di stupore e di un’eccitazione ormai difficile da imbrigliare. Con la voce calda e un tono che umilia e provoca al tempo stesso, mi hai detto: “Che aperto ce l’hai ora. Potrebbero entrarci due cazzi. Non avresti nemmeno bisogno del lubrificante”. Un buco che si inghiotte tutto, anche me, anche te, Ol.. Questo è ciò che davvero conta, l’elemento importante, il movente.
“E non so come fai a resistere tanto con un cazzo in culo. Nemmeno lo senti”. Inspiri profondamente e con un colpo secco chiudi la parentesi e me lo ficchi dentro un’altra volta. Però adesso ti muovi con quella forza che prima avevo solo potuto intuire, perché tu l’avevi trattenuta tra fasci di muscoli, tendini, denti stretti e mascella. Per non farmi del male, per malintesa cortesia? È vero, all’inizio del tuo lavoretto, mi avevi chiesto: “Tutto bene?”. Dovrei avvisarli sempre prima: se qualcosa andasse storto, te ne accorgerai, baby. Non sei il primo, e dubito che sarai l’ultimo. Ti avevo quindi risposto di sì, che tutto andava più che bene, e allora, senza incertezze, lo avevi buttato dentro fino in fondo. E poi mi avevi domandato a più riprese quando mi avevano chiavato l’ultima volta, godendo delle mie risposte inframmezzate da gemiti. Ti eri sollazzato, certo, però senza eccessi, perché non si sa mai.
Però adesso no, hai già constatato l’eccellente livello di accoglienza e di elasticità. “Nemmeno lo senti”. E allora avanti e indietro senza scrupoli, fai ondeggiare il tuo bacino e lo sbatti contro di me quasi con rabbia mentre mi ansimi addosso. Mi tieni bloccato, non posso muovermi nemmeno un po’, mentre percepisco — eccome! — ogni colpo di quel palo che mi perfora dentro. Il mio culo rilascia un liquido trasparente e viscoso, che si aggiunge al lubrificante, richiamato dall’incalzare incessante della penetrazione. Ti bagno così.
Capisco che sei quasi a fine corsa quando all’improvviso ti blocchi con il cazzo ben piantato in me e mi chiedi: “Dove ti piace farti sborrare?”. “Dentro”, ti rispondo. “Ah, sì? Io invece voglio venirti addosso”. Ti muovi ancora un po’, ma ne hai per poco. Lo estrai di nuovo, questa volta rapidamente. Ti togli il preservativo e te lo meni a qualche centimetro dalla mia faccia. Faccio solo in tempo a portare una mano sotto le tue palle bagnate dei miei umori e ti vedo schizzare sul mio petto. È calda e giallastra e il suo odore m’inebria.
All’inizio, dopo essere entrato in casa e aver sbrigato tutte le formalità — “È stato difficile arrivare?”, “No, ho trovato subito. Bello qui”, “Grazie” e forse qualcosa di più — mi avevi baciato e palpato il culo ancora fasciato nei jeans. Ti eri spogliato e mi avevi fatto inginocchiare sul letto mentre, rimanendo in piedi vicino a me, mi avevi offerto il tuo bastone. Lo succhiavo voglioso, mugolando e sbavando senza decoro. La tua mano si era allora posata sul mio buco e l’aveva strattonato. “Sei un po’ puttana, vero?”, mi avevi domandato. Un po’?