martedì 6 gennaio 2015

Il piccolo Ale

Non è stata la prima volta a casa mia. È stata la seconda, per la precisione. Gli avevo promesso pillole e carezze, contro i postumi della sbornia che si era preso a Capodanno. Aveva declinato i medicinali, ma aveva scritto: “Guarda che vengo a prendermi le coccole, eh”. “Esiste un modo migliore per cominciare l’anno?”, mi ero chiesto, fra me e me.
E così ecco Ale salire le scale sorridendomi, minuto e infreddolito, nei suoi pantaloni troppo stretti, il giubbottone e i guanti. Il primo di un miliardo di abbracci. Ma allora siamo contenti di vederci?
E parliamo e ci prepariamo un tè in cucina, poi lo sorseggiamo, seduti sul mio letto. E parliamo. E parliamo. Finché la vicinanza non fa il suo dovere. Mi prende all’improvviso la bocca con la sua. Ci stringiamo in un abbraccio che mi dà l’acquolina, che lubrifica le nostre labbra che si sfregano le une contro le altre, mentre il respiro si agita e il cuore vorrebbe uscire dal petto e gridare: “Esisto”. Se riuscissi a pensare, ne uscirebbe qualcosa come: “Che non smetta mai”.
Ci spogliamo poco a poco, pezzo dopo pezzo. Le mie dita trovano subito i suoi capezzoli, già così duri e circondati da peli corti e biondi. La sua lingua è sul mio collo e scivola verso l’orecchio. Ho i brividi. Poi è una confusione di mani che carezzano, palpano, stringono e di bocche che cercano affannate qualcosa da baciare. Quando i cazzi si liberano, si mette a succhiare il mio. Lo fa lentamente, con dedizione e molta saliva. Poi è il mio turno. Lui è in piedi vicino al letto e io me lo ficco in gola più che posso, perché è molto lungo. Non si accontenta dei miei movimenti rapidi, ma mi prende la testa fra le mani e si agita muovendosi avanti e indietro per scoparmi la bocca. 
Sono solo le prove generali, interrotte da un suo gemito. Lo estrae, forse al limite dell’orgasmo, e mi fa mettere a quattro zampe. Mi schiaffeggia il culo con forza e a ogni colpo che ricevo, inarco di più il bacino. Ecco Ale, lo vedi come sono disponibile? Puoi farlo tuo. E allora lui s’inginocchia davanti al letto, appoggia la faccia sul mio culo e comincia una delle migliori leccate che abbia mai ricevuto. Non solo la sua lingua passa sul buco, adesso così ben esposto, ma lo penetra e lo morde e insiste, finché la porta si apre. Arrivano altri schiaffi, poi lui si inginocchia davanti a me, sul letto, perché io possa spompinarlo di nuovo. A un certo punto mi mette un dito in bocca, me lo fa succhiare come fosse un cazzo, mentre mi guarda. Poi mi porge nuovamente l’uccello, si china su di me, e mentre io gli faccio una pompa, lui esplora il mio culo.
Ho il buco aperto e il suo dito insalivato affonda facilmente, quindi ne inserisce un altro e un altro ancora e poi tira, strattona, come se cercasse la conferma della sua flessibilità. Data la situazione, e con il suo serpente ancora in bocca, non posso far altro che mugolare e attendere, paziente, ciò che desidero di più al mondo. Quando si sposta e si mette dietro di me, io mi adagio a pancia in giù mentre lui sfrega il cazzo tra le mie natiche. Ci sputa sopra, perché scivoli meglio, ma io allungo una mano dietro di me, lo impugno e punto la sua cappella sul mio buco. Voglio che mi faccia sentire com’è duro e che giochi con la mia apertura più recondita.
Così fa Ale per un po’ e io mi eccito e vengo sopraffatto, una volta di più, dalla voglia di tenerlo dentro, di sentire un contatto più intimo. Ehi, non così intimo, però. Ale fa scivolare dentro la cappella e poi, trovando la via completamente sgombra, mi sfonda il culo così, senza nessun complimento. Non ci stiamo dimenticando qualcosa, accidenti? Lo faccio uscire rapidamente, mi alzo e prendo un preservativo dal cassetto. Se lo mette, lo lubrifica e ricomincia il lavoro.
Mi fotte alla pecorina, prima lentamente, ma poi selvaggiamente, quasi con rabbia. I suoi movimenti sono molto rapidi, mentre con le mani mi afferra i fianchi e mi tiene fermo. Vuole che appoggi la testa e il busto sul letto, completamente offerto e sottomesso. Il mio buco si arrende presto alle martellate e si dilata completamente mentre gemo e Ale affonda dentro di me fino ai coglioni in una danza dannata. Un colpo particolarmente forte e mi ritrovo disteso a pancia in giù sul letto, con il suo bastone conficcato dietro. Che meraviglia questa melodia fatta del suo corpo che spinge nel mio con sempre maggior furia, il suo ansimare forte vicino al mio orecchio e il mio gemere per quel cazzo che invade la mia carne. “Mi manca poco... Vengo, io vengo”, mi avverte. E lo sento godere. Qualche istante più tardi, dopo aver gettato in terra il preservativo colmo di sborra, mi prende il cazzo e comincia a menarmelo, mentre mi masturba il buco. “No, non importa”, gli dico. “Non vuoi venire? Ti faccio un pompino”, mi propone. “No, davvero”. Per stavolta, va benissimo così.

mercoledì 31 dicembre 2014

Un po'

Che cosa conta in questo preciso istante? La luce che penetra le finestre riverberando violenta il candore della stanza? O i battiti accelerati del mio cuore mentre rimango disteso e fermo davanti a te, torcendo il busto per guardarti in faccia? Forse il mio affanno che assorbe la fissità di quest’attimo sospeso, una parentesi di silenzio inesplicabile? 
Qualche secondo fa te lo sei preso in mano e con lucida lentezza l’hai estratto dal mio culo. Piano, centimetro dopo centimetro, hai fatto uscire questo uccello grande e duro dal suo occasionale rifugio. I tuoi occhi, che miravano dritto tra le mie cosce, si sono allora velati di stupore e di un’eccitazione ormai difficile da imbrigliare. Con la voce calda e un tono che umilia e provoca al tempo stesso, mi hai detto: “Che aperto ce l’hai ora. Potrebbero entrarci due cazzi. Non avresti nemmeno bisogno del lubrificante”. Un buco che si inghiotte tutto, anche me, anche te, Ol.. Questo è ciò che davvero conta, l’elemento importante, il movente. 
“E non so come fai a resistere tanto con un cazzo in culo. Nemmeno lo senti”. Inspiri profondamente e con un colpo secco chiudi la parentesi e me lo ficchi dentro un’altra volta. Però adesso ti muovi con quella forza che prima avevo solo potuto intuire, perché tu l’avevi trattenuta tra fasci di muscoli, tendini, denti stretti e mascella. Per non farmi del male, per malintesa cortesia? È vero, all’inizio del tuo lavoretto, mi avevi chiesto: “Tutto bene?”. Dovrei avvisarli sempre prima: se qualcosa andasse storto, te ne accorgerai, baby. Non sei il primo, e dubito che sarai l’ultimo. Ti avevo quindi risposto di sì, che tutto andava più che bene, e allora, senza incertezze, lo avevi buttato dentro fino in fondo. E poi mi avevi domandato a più riprese quando mi avevano chiavato l’ultima volta, godendo delle mie risposte inframmezzate da gemiti. Ti eri sollazzato, certo, però senza eccessi, perché non si sa mai.
Però adesso no, hai già constatato l’eccellente livello di accoglienza e di elasticità. “Nemmeno lo senti”. E allora avanti e indietro senza scrupoli, fai ondeggiare il tuo bacino e lo sbatti contro di me quasi con rabbia mentre mi ansimi addosso. Mi tieni bloccato, non posso muovermi nemmeno un po’, mentre percepisco — eccome! — ogni colpo di quel palo che mi perfora dentro. Il mio culo rilascia un liquido trasparente e viscoso, che si aggiunge al lubrificante, richiamato dall’incalzare incessante della penetrazione. Ti bagno così. 
Capisco che sei quasi a fine corsa quando all’improvviso ti blocchi con il cazzo ben piantato in me e mi chiedi: “Dove ti piace farti sborrare?”. “Dentro”, ti rispondo. “Ah, sì? Io invece voglio venirti addosso”. Ti muovi ancora un po’, ma ne hai per poco. Lo estrai di nuovo, questa volta rapidamente. Ti togli il preservativo e te lo meni a qualche centimetro dalla mia faccia. Faccio solo in tempo a portare una mano sotto le tue palle bagnate dei miei umori e ti vedo schizzare sul mio petto. È calda e giallastra e il suo odore m’inebria.
All’inizio, dopo essere entrato in casa e aver sbrigato tutte le formalità — “È stato difficile arrivare?”, “No, ho trovato subito. Bello qui”, “Grazie” e forse qualcosa di più — mi avevi baciato e palpato il culo ancora fasciato nei jeans. Ti eri spogliato e mi avevi fatto inginocchiare sul letto mentre, rimanendo in piedi vicino a me, mi avevi offerto il tuo bastone. Lo succhiavo voglioso, mugolando e sbavando senza decoro. La tua mano si era allora posata sul mio buco e l’aveva strattonato. “Sei un po’ puttana, vero?”, mi avevi domandato. Un po’?

domenica 28 dicembre 2014

Il tempo ben speso

Quanti cazzi hai preso in questi quasi due anni di esilio? Immagino che sia questa la domanda chiave, l’unica che davvero conti su queste pagine bianco latte. Molti, signore mie. Perché se il gran cambiamento e gli sforzi per compierlo hanno sottratto le energie necessarie per stare qui, ciò non mi ha impedito di godere dei miei simili, di conoscerli - talvolta solo carnalmente - e di apprezzarli. O no.
Rileggendo queste pagine scopro straordinarie fedeltà. Ma., per esempio, che se n’era tornato negli Stati Uniti ed ora è di nuovo qui, vive e lotta insieme a noi; oppure Pe., che nel frattempo si è stabilito nel mio quartiere; o ancora, l’immancabile Santi, a ben vedere il mio unico pene rifugio.
Molti altri, di cui non ho fatto in tempo a scrivere, sono nel frattempo transitati. Altri sono arrivati e si sono fermati. Alcuni di loro vorrei se ne andassero. Di tutto ciò, a smozzichi e bocconi, scriverò.
Tuttavia Ale si è ritagliato un piccolo spazio. Minuscolo, però reale, mi accorgo ora che ci penso. Nessuno dei due lo ha voluto davvero, non è scattata nessuna passione amorosa - di quelle struggenti che rendono insopportabili tutti i minuti che scorrono lontano dall’essere amato - eppure ci cerchiamo discretamente, sondiamo il terreno whatsappeando con aria falsamente indifferente, finché uno dei due domanda: “Quando ci vediamo?”. E così accade di nuovo. Che finiamo a letto. Che parliamo di noi, dei suoi progetti, dei miei. Che finiamo a letto. Che scrutiamo i nostri appartamenti, gli oggetti, le nostre storie. Che finiamo a letto.

mercoledì 24 dicembre 2014

Mi risveglio

Mi risveglio quando il mio qualcosa — non è amore, non è neanche mio, per la verità — è già partito per la guerra. Siamo entrati nell’edificio, che s’intuisce antico, accompagnati da volti a me conosciuti. Allegri loro, triste io. Lui dice a un militare seduto al posto di guida di un autobus: “È qui che ci si arruola?”. “Sí, qui in fondo, a sinistra, entra lì”.
Il corteo ci segue. Lui ha il passo deciso, marziale, e sorride. Io penso: “Non può essere”. Eppure continua. Passiamo dei tornelli senza nessuna formalità. Uno degli accompagnanti si stacca dal gruppo, raggiunge una specie di bacheca e grida: “Guardate! La Stele di Rosetta!”. Mi avvicino. È una bussola che sembra fatta di filigrana, con scritte in francese. Il tempo di decifrarle e lui è già sparito, forse vestito con la mimetica, seduto in un camion verde scuro e diretto chissà dove. In mezzo a quella corte medievale mi piego per la disperazione, poi m’inginocchio e mi porto le mani alla testa. Gli altri stanno a guardare, silenti.
Ale aveva puntato la sveglia alle otto e undici. Quando lo aveva fatto e poi comunicato, era troppo tardi — le cinque del mattino? — per chiedergli il perché di una precisione tanto stravagante. Avevo sonno ed ero sazio. Però poi, alle otto e undici, l’ho sentito maneggiare il telefono e adagiarsi di nuovo sul cuscino. Cinque minuti più tardi, lo squillo definitivo. Ho acceso la luce e con gli occhi semiaperti ho scrutato il suo corpo nudo mentre cercava in terra i vestiti, separandoli dai miei. Si è rimesso gli slip, si è seduto al bordo del letto per indossare i calzini e allora si è girato verso di me con un mezzo sorriso. Il suo mezzo sorriso e il suo petto ricoperto di peli corti, la visione che aspettavo per dirmi: che bello essere ancora qui oggi.
Ricoperto da diversi strati di tessuto sintetico, si è inginocchiato sul letto, io sono uscito dalle coperte senza niente addosso e mi sono inginocchiato a mia volta. I busti eretti si sono uniti, ci siamo abbracciati. Era la milionesima volta ed era la prima, forse non l’ultima. Così forte. Grazie per la cena — non mi ringraziare, ti bacio il collo — sei molto gentile — non dire nulla, ti bacio la bocca — ecco così, fammi sentire solo il tuo respiro, e ti carezzo i capelli.
Mi hai detto qualche ora fa che, nonostante i tuoi studi — li terminerai con un po’ di ritardo rispetto ai tempi previsti — non vuoi intraprendere la carriera alla quale teoricamente saresti destinato. Qualcosa di simile alla mia. Hai altre ambizioni, che a me sembrano entusiasmanti ma così difficili da mettere in pratica, che... E allora tu fai: “Lasciami illudere, ho venticinque anni”. Quindi tutto precipita. Perché hai una bocca che mi fa morire, uno sguardo innocente capace di farsi torvo in un battere di ciglia, una pelle chiara da leccare e lobi piccoli da mordere. “Andiamo in camera”.
Ma da dove vengono questi baci? Sai dirmelo tu? Da quale granello di sabbia della tua isola eternamente soleggiata e colma di tedeschi in pensione? Perché le nostre bocche non riescono a staccarsi, le nostre lingue non smettono di muoversi, perché il mio respiro inciampa nel tuo una volta dopo l’altra e ci rotoliamo nel letto e le braccia gridano la loro voglia di stringere, avvinghiare? Che il tuo corpo non si stacchi dal mio troppo presto.
Come ti piace leccarmi le palle e poi il cazzo. Me ne sto disteso lasciandomi trasportare altrove. La tua lingua s’insinua anche nel mio buco. Vuoi tutto e io sono disponibile, volenteroso, aperto. Ti scopo la bocca, mi scopi la bocca. Mi metti disteso a pancia in giù e ti stendi sopra di me, sento il tuo cazzo premere contro il mio buco. Ti muovi e mi respiri nell’orecchio, stringendo le tue mani nelle mie. Inarco il bacino. Non serve che io gridi: “Ti voglio dentro!”, perché è già così evidente. Ho le lacrime agli occhi: desiderio, ineluttabilità, gioia estrema, l’idea che sei speciale.
Ti passo il preservativo, lo indossi, ci metti un po’ di lubrificante. Quando entri, sento che non è sufficiente. Non lo sarebbe. Eppure mi apro e allora siamo davvero quasi uno. Adoro ogni colpo di reni che mi regali. Ansimo e ti guardo negli occhi e mi baci. Poi ti metterai in ginocchio e io alla pecorina e sarai più duro, ma sono dettagli di una realtà impazzita. Ti tocco i coglioni mentre vai avanti e indietro. Faccio uscire il tuo uccello e ci mettiamo distesi uno di fianco all’altro, e ti abbraccio. Impugniamo i cazzi e li meniamo. Ti guardo e ti trovo talmente bello che in ogni momento rischio di cadere dalla corda tesa. “Ti manca poco”, “Sì”, “Vieni”, “Voglio che venga anche tu”, “Allora vieni”. Sorride. Sorrido. M’inarco, la testa reclinata, la bocca aperta in gemiti profondi. Gli bagno la mano che ha posato sulla mia pancia. La sua aumenta il ritmo e dopo qualche secondo finisce la sua corsa con una serie di strattoni. Schizza sul suo corpo il liquido bianco. Scoppia in una risata interminabile e contagiosa. Poi è un lavarsi silenzioso insieme nel bagno e dopo ancora coperte. Fa freddo, accoccoliamoci.

lunedì 25 febbraio 2013

Il toro e la puttanella

A questo toro piacciono le vacche servizievoli, compiacenti, adoratrici del cazzo. Possibilmente del suo. “Sono freddo”, mi dice, mentre si toglie la maglietta rossa attillata che porta sotto il maglione. È un po’ più alto di me, è massiccio, duro, forte, e accorcia i peli, così fitti sul petto e sulla pancia. Tra due ore avrà un impegno da un’altra parte e dovrà andarsene però, per adesso: “ti scaldo io”, gli dico. Nella stanza tutto è bianco. La luce del sole gelido di oggi è cristallina e tanto candore contrasta con la lussuria dei nostri sguardi. La mia lingua scivola contro la sua, si muove frenetica mentre le nostre labbra si uniscono e un abbraccio reciproco ci schiaccia l’uno contro l’altro. Ho la sensazione di perdermi in quel petto e in quelle spalle così ampie: fin da questi primi istanti JJ. per me è protezione e aggressione insieme, è usurpazione, invasione, istinto maschio di cazzo, di coglioni, di sborra. Ho ancora la maglietta e i pantaloni addosso ma sto già sporgendo involontariamente il culo. Me ne accorgo solo quando comincia a palparlo. È il mio corpo che sta comunicando già direttamente col suo, se ne infischia delle regole apprese e mi fa apparire per ciò che sono ora: buco caldo e accogliente, impulso di gambe divaricate e bocca umida.
Il pacco è gonfio quando fa cadere i pantaloni fino alle ginocchia. Gli abbasso gli slip liberando così il suo bel cazzo dalla pelle abbondante. Tirando verso la base, scopro la cappella, corta ma grossa. M’inginocchio davanti a JJ., pronto a pregare la mia divinità. E me lo metto in bocca. Mentre vado con la testa avanti e indietro e assaporo la nerchia grande e dura, non smetto un secondo di mugolare. Emetto dei suoni un po’ acuti che contrastano con i suoi, più gravi. Una mano sulla testa e di colpo mi ritrovo bloccato, con l’intero cazzo di JJ. in bocca mentre lui preme ancora e ancora, finché non sente scivolare la cappella ancor più in fondo nella mia gola. Adesso si muove ritmicamente dentro e fuori, tenendomi ferma la testa con entrambe le mani, mentre io metto le mie sul suo culo, per fargli capire che sì, la mia bocca da pompinaro è fatta anche per quello. Mi tolgo la maglietta e prendo un po’ di fiato, ma JJ. ricomincia subito. Ogni tanto lo faccio scivolare fuori e gioco con le labbra o con la lingua sulla sua cappella, mi eccito ancora di più, allora torno a lasciarmi chiavare la bocca, ancora e ancora. 
Mi abbasso anch’io pantaloni e slip fin sotto le ginocchia e lo vedo concentrato a osservarmi il culo. Quel suo sguardo trasferisce su di me tutta la sua lascivia. Mi metto a quattro zampe sul letto, perché noti la mia predisposizione. La schiena è arcuata al massimo, il culo teso verso di lui. JJ. si mena il cazzo come un forsennato mentre con un indice e un medio mi allarga il buco. Il solo contatto tra la sua mano e il mio culo mi fa gemere. La sensibilità della mia pelle sembra centuplicata. 
La monta potrebbe avere inizio a tutti gli effetti, ma voglio togliermi i pantaloni, gli slip e le calze. Lascio tutto in terra e poi mi distendo a pancia in giù e appoggiandomi sui gomiti metto il viso vicino al suo cazzo durissimo, che comincio a leccare, mentre JJ. è ancora in piedi accanto al letto. Di nuovo le sue mani forti afferrano la mia testa e di nuovo me lo caccia dentro, fino in gola. Questa volta sento un “Sìii”, mentre mi preme la testa con tutta la forza che ha. Un gemito gutturale profondo mi fa capire quanto gli sta piacendo. Poi allenta la presa per un attimo e appena mi allontano uno o due centimetri, torna a spingere il mio viso contro di sé, in rapida successione, una decina di volte.
Finché lo sfila e: “Prendo un preservativo, che adesso te lo apro”. Mentre cerca in una tasca della giacca, appoggiata sul divano, io lubrifico il buco: due dita mi entrano già senza nessuno sforzo. Mentre JJ. indossa il preservativo, io mi sditalino, osservandolo. Dopo aver sparso un po’ di gel sul suo cazzo inguainato, mi metto sul letto a quattro zampe. Dietro di me, il torello preme contro il buco ed entra. Scivola pianissimo, quasi impercettibilmente, ma non si ferma. Al primo impatto sento crescere già uno stimolo molto piacevole. Ma cedo immediatamente del tutto, il buco mi si allarga da solo e lui può già cominciare a muoversi avanti e indietro e a dare dei colpi violenti. Mentre mi fotte mi accarezza i capezzoli, stringendoli con due dita delicatamente. A seconda della posizione della mia schiena, che alzo o abbasso alternativamente, l’angolatura del mio culo varia leggermente. E mentre JJ. cambia ritmo e profondità e sbatte, sbatte forte il suo bacino contro i miei fianchi, io gemo. 
Animale. Aperto. Inculato. La bocca è aperta. Ansimo. Un bastone durissimo dentro, vuole arrivare più in fondo. JJ. mi spinge più avanti. Vuole che io non cambi posizione, alla pecorina gli piace, però sale sul letto e appoggia le ginocchia dietro di me. Continua a spingere la sua carne dentro la mia. Quando mi volto, con la coda dell’occhio lo vedo intento a osservare come il suo cazzo entra ed esce dal mio culo ormai più che accessibile. Il toro è molto resistente, ma adesso lo sento gemere forte, senza ritegno. Ed è, questo, uno degli atteggiamenti di un maschio che più mi fanno uscire di testa: percepire chiaramente che sta perdendo il controllo, che si sta lasciando andare.
Comincio a cedere. Dopo aver perso liquido prespermatico, due o tre schizzi di sborra escono adesso dal mio cazzo. Bagno un po’ il lenzuolo e lui se ne accorge. Aumenta il ritmo e soprattutto la violenza con cui mi sta penetrando e capisco che siamo vicini alla fine. Non ce la faccio più e, all’inizio senza nemmeno toccarmi l’uccello, vengo. Dai suoi gemiti capisco che dentro il mio culo il preservativo si sta gonfiando dello stesso liquido bianco. Bianco come questa mattina bianca e splendente di gioiosa ed energica vita.

“Puttanella”, mi dice, tra le altre cose, alla fine. E non si scusa per il diminutivo.

mercoledì 13 febbraio 2013

E un bel ragazzo intorno

“Devi venire qua con la voglia di succhiare il cazzo e di farti fottere”. Un desiderio obbligatorio, una contraddizione in termini. Ma è il suo modo di dirmi che non accetta compromessi o mezze misure: ci siamo già detti quello che vogliamo l’uno dall’altro, il patto ormai è chiaro e, se sarà rispettato, l’amicizia potrà essere eventualmente lunga.
Prima di farmi la doccia e uscire di casa, giro e rigiro sul computer le foto di questo ventiduenne. È attraente e in chat l’ho trovato incredibilmente spigliato per la sua età — le idee chiarissime, il linguaggio diretto, crudo, di chi sta cercando una soddisfazione urgente per i propri sensi.
Scende ad aprirmi il portone. Condivide l’appartamento con altra gente e vuole evitare che  io possa incrociare qualcuno dei suoi inquilini. Ha un accento che al principio mi sembra francese. È di una bellezza strepitosa: alto, spalle larghe e torace ampio, capelli neri e sorriso perfetto, una barba scura appena percettibile, di tre giorni. Indossa una maglietta verde e dei pantaloncini sportivi corti e larghi, bianchi. In ascensore comincia a baciarmi e a toccarmi il culo mentre io con la mano verifico che non porta le mutande e comincia già ad eccitarsi. He has a hard-on.
La sua stanza è poco più di un cubicolo di dieci metri quadrati scarsi. Un letto a una piazza, un comodino, una bandiera dello stato in cui ci troviamo appesa al muro, un portascarpe e una sedia sono gli unici elementi decorativi. La tapparella della persiana è abbassata e copre più o meno la metà della finestra. “Il posto è piccolo”, mi dice Ma. per darmi la possibilità di rispondergli: “Non importa, andrà benissimo”. Si siede sul letto mentre io mi tolgo la giacca. Lo raggiungo e cominciamo a baciarci. Il bacio. Da quanto tempo non ne sentivo uno così appassionato? E le sue braccia mi stringono a sé, le sue mani sollevano la mia maglietta carezzandomi la schiena, le mie cercano i suoi capezzoli e li sfiorano. It’s a nipple play. I nostri respiri si fanno confusi e si mescolano, come il mio desiderio si confonde col suo e viceversa. È un uomo fatto e finito, questo Ma., e che belle braccia che ha. Però davvero, questo viso e questo sguardo fresco da ragazzo della sua età m’inquietano e mi eccitano. Continuiamo a baciarci e la tensione cresce così tanto che già sto desiderando di essere penetrato.
Gli abbasso i pantaloncini e lui mi aiuta a mettere l’elastico subito sotto i coglioni. Ha un cazzo nella media, dritto, circonciso. Comincio giocando un poco con la lingua sul frenulo, sulla cappella, lungo l’asta. Chiude gli occhi per assaporare le sensazioni che gli regalo ma un vero e proprio fremito lo percorre solo quando schiudo le labbra e le lascio scivolare dalla punta alla base della cappella, poi nel solco subito sotto e giù, fino a buona parte dell’asta, per poi risalire. Vado su e giù con la testa impugnando al tempo stesso il suo cazzo, poi andando solo di bocca. Interrompo il lavoretto due volte: la prima, per togliermi la maglietta e la seconda, per levarmi pantaloni, calzini e slip. Cambio spesso ritmo per variare il gioco, ma cerco sempre di arrivare con le labbra alla base del suo bastone, peraltro senza riuscirci. Dopo una decina di minuti, approfittando del fatto che in quel momento il suo cazzo è quasi completamente infilato nella mia bocca, sposta la mano destra, che fino a quel momento aveva accarezzato la mia spalla e il mio braccio sinistro, portandola sulla mia nuca. La preme forte verso di sé, costringendomi a fargli una gola profonda. Sento la sua nerchia contrarsi almeno tre volte nella mia bocca, mentre con la sua mano Ma. tiene ferma la mia testa. Siccome sta ansimando, temo stia per venire da un momento all’altro. Con un gesto rapido, adesso chiude il palmo della mano e acciuffa i miei capelli, tirando la mia testa verso l’alto finche le labbra arrivano all’altezza della cappella. Allora mi spinge di nuovo la testa verso il basso e fa entrare di nuovo tutto il suo uccello nella mia bocca. Adesso Ma. controlla la situazione e conduce il gioco. La mia gola si abitua in fretta e in certi momenti distinguo chiaramente la sua cappella scivolarmi in gola e contrarsi una e un’altra volta. You’re a cocksucker, boy.
Nel frattempo ho assunto la posizione più remissiva possibile, alla pecorina. Il mio corpo gli si sta offrendo senza remore. E lui, dopo parecchi minuti e quando già sente di essere al limite, si alza, fa il giro del letto e si mette dietro di me. Allarga le mie natiche con molta forza, il più possibile, per osservare bene il buco. Poi ci affonda la faccia e comincia a lavorare con la lingua. Lo fa talmente bene, che io mugolo senza ritegno. Incoraggiato da quei suoni, il ragazzo comincia a usare la lingua come fosse un cazzetto, facendola entrare e uscire dal buco ritmicamente. And you are an experienced ass licker.
C’è un momento, generalmente bellissimo, in cui il cuore accelera ancor di più i suoi battiti, il mio respiro si fa più affannoso e i muscoli là sotto cedono: il mio buco si apre, si allarga.  È quello che sta accadendo ora e Ma. probabilmente se ne accorge. Per constatare che io sia davvero pronto per essere montato, si erge dietro di me e m’infila un dito: non incontra nessuna resistenza.
Allora si alza in piedi e, mentre indossa il preservativo e lo cosparge di lubrificante, io mi mangio con gli occhi questo bel ragazzotto perfettamente proporzionato, dal fisico definito senza essere muscoloso e con la giusta quantità di peli distribuiti su petto e ventre. Mi fa stendere a pancia in giù, si stende sopra di me e con un colpo secco, molto deciso, me lo infila tutto dentro. Gemo forte ma lui continua. Sotto i suoi vigorosi va e vieni non solo sembra cedere il mio culo, ma anche il letto che adesso cigola. Ciò che mi fa godere di più, però, a parte la forma brutale con la quale m’incula, è che mi stringe il petto con un braccio, sovrappone l’altro braccio al mio e nel frattempo cerca la mia bocca, mi bacia, mi lecca il collo e un orecchio. I nostri corpi sono vicinissimi e non è solo un fatto di nerchia-culo, qui c’è anche tanta pelle, c’è bocca e saliva, c’è respiro. A farmi impazzire è proprio l’equilibrio di durezza e di tenerezza che percepisco in lui, mentre io, compiacente, mi lascio fottere e ricambio come posso le sue carezze.
Mi prende di fianco, poi di nuovo a pancia in giù, aggrovigliando le sue gambe alle mie, poi di nuovo di fianco. A un certo punto lo spinge talmente in fondo da provocare gemiti incontrollabili. Ne approfitta per aumentare il ritmo della monta e mi sussurra all’orecchio: “Mi manca pochissimo”. Io riesco solo a dire dei “Sì” entusiasti. “Vuoi che venga?”, è la sua domanda indiretta per sapere se può scaricare ora. Alla mia risposta affermativa, accelera ancora e poi: “Sto per sborrare”, dice e infine, ansimando, “Vengo”. I′m cumming, baby, I′m cumming!

Negli Stati Uniti si annoiava e per questo è venuto qua. Per rifarsi una vita, mi racconta, e andarsene da un ambiente troppo conservatore, dalla mentalità troppo stretta. È contento di sé e della sua indipendenza, di potersi mantenere anche lontano dai suoi. Però vorrebbe tornare negli States per iscriversi all’università e poter intraprendere un’attività più interessante di quella che ha ora. Disteso sul letto, lo osservo mentre se ne sta seduto accanto alla finestra, fumando una sigaretta. Decido di registrare quell’immagine per sempre nella mia memoria.
Quando torna a distendersi sul letto, ci baciamo di nuovo. Ancora e ancora. Il suo cazzo si fa di nuovo duro. Glielo accarezzo e gli dico che potremmo riprendere il discorso un’altra volta. Non mi risponde ed io m’impietosisco. Comincio a sbocchinarlo di nuovo e di nuovo lo sento ansimare. Dopo un po’ decido una variazione e scendo più in basso, a leccare i coglioni, trascurati nella sessione appena conclusa. Non solo ci passo la lingua sopra, prima uno e poi l’altro, ma comincio a succhiarli, tirandoli un po’ con la bocca. Al tempo stesso gli meno il cazzo, già ben insalivato.
Oh my God”, lo sento soffiar fuori piano, pianissimo. Dice proprio così, ma con tono ben più convincente di quello che si sente in certi film. E poi: “Sborro”.
Già sulla soglia: “Ci risentiamo, ok?”. Ovvio, non mi avrai mica preso per scemo?

domenica 10 febbraio 2013

Delle mie brame

Esco dal lavoro quando fa già buio da un pezzo. È quasi periferia. E io ho promesso ad Ab., incautamente, di andare a casa sua. Che si trova in culo ai lupi, non proprio dietro l’angolo. A piedi attraverso strade enormi, semibuie, ghiacciate. Siamo in pieno inverno, fa freddo e io sono stanco. Ma qualche giorno fa Ab., con un’intuizione notevole, ha piazzato lì una frase che ha provocato in me immediata e incontrollabile salivazione: “Sborro come una fontana”. Meglio togliersi il dubbio e fargli posto nella mia agenda, mi son detto.
Il quartiere, tutto caseggiati moderni e desolati, mi mette addosso una tristezza senza nome. Quando arrivo, la porta è socchiusa. Entro e lo trovo nudo, disteso sul letto. Mi sorride e nel frattempo se lo mena. 
“Devo farmi una doccia”, gli dico.
“Fai pure”, mi risponde, accennando col capo dove si trova il bagno.
Quando ho finito, vado in camera e mi distendo accanto a lui. Né bello né brutto, Ab. mi accarezza e mi bacia con foga. Comincio a toccargli il cazzo, leggermente curvo e perfettamente nella media, circonciso, e poi soppeso i coglioni, di buone dimensioni, senza eccesso. Ho già voglia di mettermelo in bocca e così lo spompino. Nel frattempo lo guardo di tanto in tanto e mugolo e sporgo le labbra quando ci appoggio sopra la cappella. Lui si gode lo spettacolo e mi sorride e respira forte.
È arrivato il momento. Si alza e io in un attimo sono a quattro zampe. Inarco la schiena e sporgo il culo. Allarga le mie natiche e con la punta della lingua mi lecca il buco. Lo solletica tanto da farlo cedere. E allora indossa un preservativo, si massaggia il cazzo con del lubrificante e si mette dietro di me. Senza rendermene conto davvero, percepisco il grande specchio del guardaroba che è sulla sinistra. Vedo il riflesso di Ab. che s’impugna il cazzo e lo avvicina al mio culo, ma è solo un attimo, perché non va per il sottile e me lo sbatte tutto dentro, di colpo. Allora chiudo gli occhi e grido, girando la testa verso la parete contro la quale già sta cozzando ritmicamente la testiera. 
La cadenza è martellante, ma non varia, come costante è anche la profondità della penetrazione. Un’inculata scolastica, da laboratorio, meccanica, chirurgica. Monotona. Ringrazio il mio culo per essere così sensibile da farmi provare un vero piacere fisico anche in casi come questi, mentre il cervello concentra i suoi sforzi nell’immaginare il contenuto di quei coglioni che adesso, là dietro, si stanno certamente agitando, come il loro padrone.
Ad un certo punto, però, Ab. cala l’asso: “Mettiti a pancia in su”. Un missionario con le gambe ben divaricate e i polpacci appoggiati alle sue spalle. Un classico, insomma. Sì, però il birichino mi fa stendere in diagonale rispetto al letto. E rispetto allo specchio. Così, mi basta girare la testa a sinistra per avere una visione perfetta del mio culo aperto, del suo cazzo che entra e poi dei suoi movimenti di bacino, adesso ancor più rapidi. Sento il culo aprirsi ancor di più mentre Ab. mi fotte con molta forza. Lo sento scivolare dentro e fuori la mia carne e, allo stesso tempo, posso vedere nello specchio con quanto impegno si dedica a martoriare il mio culo. È come una macchia d’inchiostro su un foglio di carta assorbente: è il piacere che si espande dal buco al resto del corpo e poi arriva al cervello, facendomi gemere. Lo incoraggio ad essere ancora più aggressivo. Appoggio un braccio sulla sua schiena e una mano sul suo culo, per premerlo verso di me.
“Sto per venire!”, mi dice allora tra un respiro e l’altro. Estrae rapidamente il cazzo e mentre abbasso le gambe, lui si toglie il preservativo e se lo mena. Ed ecco il succo del suo godimento sgorgare dalla cappella con forza per un lasso di tempo che mi sembra lunghissimo. Alcuni schizzi potenti, biancastri all’inizio e poi quasi trasparenti, atterrano sul mio mento, sul collo, sul petto e sulla mia pancia. Altri finiscono sul lenzuolo che ricopre il materasso. Ormai all’apice dell’eccitazione, aggiungo al suo liquido il mio e mi ritrovo completamente bagnato.
Mi passa delle salviette e io provo a prosciugare il lago, però dopo un po’ mi arrendo. “Faccio prima a rifarmi la doccia”, gli dico. Ab. si mette a ridere.