venerdì 31 agosto 2012

Prima che se ne vada

Che bel sorriso e come risalta sulla sua pelle nera. Gli ho aperto in slip e adesso, mentre mi bacia, una mano palpa il mio culo e un dito s’intrufola già a cercare il mio buco. J., il medico, è sempre stato così: non ha mai sfiorato nemmeno lontanamente il mio cazzo (probabilmente non l’ha mai nemmeno osservato, se non di sfuggita) e le uniche parti del mio corpo verso le quali mostra interesse sono la bocca e, soprattutto, il culo. “Voglio il tuo culo”, mi ha scritto appena rientrato dalle vacanze con i suoi due pargoli, “è perfetto per scoparlo. Sei il miglior passivo che mi fotto”. Tanta lusinga andava premiata, ed eccomi qui, disponibile come sempre. 
“Vado in bagno a pisciare. Mi dai un po’ d’acqua?”, mi chiede e intanto se ne va. Quando torna, ignora il bicchiere che ho posato sul tavolo e, con un altro sorriso, in poche mosse si toglie scarpe da ginnastica, calzini, maglietta e pantaloni corti. Anch’io mi spoglio e resto nudo. Guardo il suo uccello, non ancora completamente eretto, e lo trovo molto bello: una pelle finissima ricopre completamente la cappella mentre questa s’ingrossa piano piano. Mi avvicino, lascio che lui mi tocchi di nuovo il culo, mentre io gli accarezzo il cazzo che reagisce elevandosi vigorosamente a scatti. Poi tiro la pelle verso il ventre e scopro la cappella: come ricordavo, è più grossa rispetto al diametro dell’asta. M’inginocchio, apro la bocca e incomincio a succhiarglielo. Non uso la mano, lo sbocchino fin da subito abbastanza energicamente e cerco di farlo entrare più che posso. J. accenna a una timida scopata di bocca mettendomi le due mani sulla testa. 
Il suo gesto provoca la mia eccitazione tanto che mi metto a quattro zampe sul pavimento: se la rigidità del cazzo di J. parla già sufficientemente chiaro in questo senso, il mio corpo, invece, per mostrare al maschio di turno di essere prossimo al momento in cui lo si potrà montare, come sempre invia altri segnali. La postura è uno di quelli, così come la maniera di inarcare la schiena e di sporgere il culo, via via più evidenti man mano che il bocchino prosegue. 
Il desiderio (la necessità animale) non è ignorato da J. che infatti s’insaliva un dito, si china verso di me e me lo infila in culo. Ripete l’operazione due volte e mi masturba nel buco mentre io continuo a spompinarlo. Il mio cuore accelera i battiti ed io aumento il ritmo del bocchino e gemo, perdo definitivamente il controllo e il buco si dilata. “Oh, sì, Milk”, prorompe J., “ti voglio chiavare!”. Proprio per questo ci avviciniamo al divano, sul quale avevo già in precedenza appoggiato lo stretto necessario per passare dalle parole ai fatti. Lubrifico allora ulteriormente, con una goccia di gel, il mio buco e ne metto un po’ sul cazzo di J., adesso ricoperto da un preservativo. 
Braccia incrociate sullo schienale, ginocchia appoggiate al divano, buco offerto e preparato: J. entra con un movimento rapido, cacciandolo dentro fino in fondo. Delicato al principio? Neanche per sogno: i suoi movimenti sono rapidi e i suoi colpi secchi, costanti. Sento confusamente, perso tra i miei gemiti, il suo respiro pesante nelle mie orecchie, mentre appoggia le mani ai lati dei miei gomiti sullo schienale e riprende la sua corsa.
Dopo un po’ mi allungo sul divano appoggiando la testa sul cuscino, tenendo la schiena estremamente bassa e il culo in alto. Lui è di nuovo dietro di me e sbatte il suo corpo contro il mio con tutta la forza che ha. E mi porta lontano, in posti dove il mio culo è solo l’intermediario fra il suo cazzo e il mio cervello, fra il suo istinto e il mio. Sento uno stimolo piacevolissimo, acuto, in fondo al mio culo. Sento sbattere contro di me i suoi coglioni, a ogni colpo. 
Proprio allora mi chiede: “Lo senti il mio cazzo?”. Poco dopo: “Ti piace farti scopare, vero?”. Le mie risposte, tutte affermative, sembrano giungere da Marte, tanto il piacere che provo si è fatto intenso. Mi prende per una spalla per farmi alzare il busto e continua i movimenti di bacino, di tanto in tanto meno intensi. Dopo qualche minuto: “Mi piace passare qua e chiavarti così”, mi dice, e poi mi prende e, senza far uscire il cazzo dal mio culo, mi mette in piedi contro la parete, mi fa chiudere le gambe e ricomincia a fottermi. Mi sussurra nell’orecchio: “Così, sì, così... mi piace, Milk, mi piace”. Probabilmente perché la penetrazione si è fatta ora meno profonda e a ogni movimento J. estrae quasi completamente il cazzo, compresa una parte della cappella, la sensazione piacevole si è spostata dall’interno del culo al bordo del buco.
Ma all’improvviso, con colpi più profondi e rapidi, inizia a cavalcarmi in maniera violenta e ad ansimare forte: “Sto per venire, sto per venire, Milk”. “Oh, sì, vieni, dai”, gli dico io. E lo sento scaricare tutto dentro di me, mentre emette dei suoni gutturali e io lascio andare dolce la mia mano sul mio cazzo. Schizzo sulla parete.
Dopo la doccia, m’informa che presto dovrà andarsene per qualche tempo all’estero per un importante corso di aggiornamento. “Prima di partire, vengo a lasciarti un bel ricordo”, mi dice, già quasi sull’uscio. E guai a lui se non  lo fa.

mercoledì 29 agosto 2012

I piedi in testa

Il segno più evidente che qualcosa tra noi sta funzionando a un livello davvero profondo,  sarà il perdurare della dilatazione della mia parte più intima anche molti minuti dopo aver terminato la monta selvaggia che mi stai infliggendo, quando, per strada, proverò invano a camminare normalmente, nonostante gli sforzi disperati per contrarre il buco e farlo richiudere. Nei miei slip colerà e formerà una macchia un piccolo rivolo di umori intimi, misto di gel, di saliva e di una sostanza trasparente e vischiosa, sorta di lubrificante naturale prodotto dal culo in occasione di forti sollecitazioni, che non riuscirò a trattenere. Sotto il cielo nero della notte più fonda, percorrendo i trecento metri che dividono le nostre rispettive case, mi sentirò aperto, usato e scaricato, soddisfatto. E sporco. Irredimibilmente infangato e contento, come chi non vuol esser redento. E quasi che i pensieri, in una notte tanto greve, possano materializzarsi e farsi maschio, passerò vicino a un ragazzo straniero, probabilmente arabo, che sta pisciando sul marciapiede, senza curarsi del fatto che io lo veda, girato verso di me. Guardandomi, mi rivolgerà un richiamo, una specie di schiocco della lingua, al quale io risponderò osservando sfacciatamente l’uccello che tiene in mano. Allora lui dirigerà il getto, con uno scatto rapido, verso di me, bagnandomi di piscio il piede destro. Tirerò dritto senza dir niente, mentre lo ascolterò gridare non so quali improperi nella sua lingua. Non proverò quasi nessuno stupore: penserò che, in fin dei conti, marcando in quel modo il suo territorio, non ha fatto altro che includermi fra i marginali che abitano i bassifondi di questa città. Almeno per certi aspetti, penserò, ha perfettamente ragione.
Allora cosa sta funzionando tra noi? Non la rapidità con la quale mi hai convocato in casa dell’amica tua (lei assente), all’una di notte. Non il fatto che mi hai aperto la porta completamente nudo e col cazzo in tiro (“Ma... sei già eccitato!”, “Te l’avevo detto che avevo molta voglia...”). Non è la tua pelle olivastra, perfettamente liscia e tesa, non i tuoi occhi neri o il tuo corpo, così armonioso. Non le stupide corna di cervo appese alla parete che, nella penombra dell’unica fonte di luce del salone, cioè la tv, aggiungono solo altra inquietudine a quella che già provo. Non sono le tue labbra, che cerco di baciare inutilmente, e nemmeno i tuoi capezzoli, che non mi lasci stuzzicare perché “sai, i piercing che ho sono recenti”. Cominciamo così così, con te che ti stendi sul divano, le spalle appoggiate allo schienale e le mani incrociate dietro la nuca, gli occhi chiusi. Penso che hai già scritto il copione ma non ti degni di comunicarlo. Ma, come da copione, impugno il tuo cazzo con una mano e comincio a masturbarti. In un attimo ti viene di nuovo duro. “Ti piace il mio cazzo?” mi chiedi, serio. “Molto”, ti rispondo. Poi mi chino e comincio a succhiartelo. È lungo e grosso. Quando inizio a spompinare con più forza cercando di farlo entrare in bocca il più possibile, mentre palpo i tuoi coglioni, sento che gemi. 
“Hai portato il preservativo?”, mi chiedi. 
“Sì”, ti rispondo io, e subito ricomincio a succhiarti la minchia, ancora vestito di maglietta e pantaloni corti. “Ma come voleva fare sesso sicuro questo qui”, penso io con la bocca piena e guardandoti in faccia, “senza preservativo?”.
“Perché, tu non ne hai?”, ti dico io tenendo il tuo cazzo con la mano destra vicino alla bocca, quasi fosse un microfono (magari il messaggio ti giunge più chiaro). Sì, lo so, la mia indole polemica a volte sorge nei momenti meno indicati. Ma la risposta che mi tocca ascoltare rischia di mandare a monte quella che si rivelerà essere la miglior scopata della settimana... beh, del mese, va’: “L’ho cercato prima che arrivassi, ma col buio non l’ho trovato”. Arresto di colpo il movimento della mia testa, le labbra chiuse attorno alla tua asta, più o meno a metà. Ti osservo. “Glielo dico che ogni tanto farebbe meglio a pagare la bolletta della luce?”, penso. Tuttavia, un certo senso pragmatico torna a impossessarsi miracolosamente di me e mi consiglia di proseguire la suzione; e così faccio.
Piccola pausa per togliermi di dosso i vestiti, perché “aiutati che Dio t’aiuta”, come si suol dire. Sta andando proprio male con te, Al., perché qualche piccola attenzione la vorrei pure io. Ma non mi perdo d’animo, mi corico tra le tue gambe e mi ricaccio in bocca il tuo cazzo, per succhiarlo con rinnovato vigore. Finché cambi di colpo atteggiamento, esci dal tuo ruolo di “attivo passivo”, e diventi un altro. La svolta. Ti alzi e più che una domanda è un ordine: “Dammi il preservativo”. Mentre lo indossi, io spargo come posso un po’ di lubrificante sul mio buco, che sento stretto, troppo stretto. “Metti del gel qui”, altro ordine che mi dai, impugnando e agitando il tuo cazzo inguainato. Eseguo, passando e ripassando la mia mano destra sulla tua nerchia durissima. Sei molto eccitato e pronto a fare ciò che il corpo ti sta imponendo di fare. In me, invece, sensazioni contrastanti: una certa eccitazione per la tua intraprendenza e la libidine che trasudi, ma inquietudine per le dimensioni dell’attrezzo che vuoi far entrare dentro di me. 
Mi metti una mano sulla schiena e mi spingi forte verso il basso, perché assuma la posizione a quattro zampe. Mi afferri per i fianchi per aggiustare l’altezza del mio culo, mentre io lo sporgo e sento salire rapidissimamente l’eccitazione. Poi appoggi la punta del tuo cazzo contro il mio buco, spingi un po’ e ci fai entrare la cappella. Ed ecco quello che funziona! È l’unione del tuo bel bastone con il mio culo che tu, ora, sai rendere accogliente: entri pianissimo, millimetro dopo millimetro, facendo crescere lentamente la mia voglia e, proporzionalmente, il diametro dell’apertura. Solo due volte ti sento dare dei colpetti un po’ più forti, due o tre in rapida successione, come se tentassi di forzare un po’. Il tratto finale, quando ormai è quasi tutto dentro, lo percorri scivolandomi dentro come una lama calda può fendere il burro. In quel preciso momento io non sono niente di più che un animale in calore giustamente sottoposto alla monta di un altro animale infoiato come me. Anche per questo gemo forte.
“Zitto, zitto!”, mi intimi. È vero, la finestra che dà sulla strada è aperta, ma certe espressioni non riesco proprio a controllarle. Mi stai chiavando con una forza brutale, dando colpi su colpi. Sembra che tutta l’energia del tuo corpo passi dai fasci dei tuoi muscoli al tuo cazzo e poi, attraverso il culo che stai trapanando, a tutto il mio corpo. A volte rallenti un po’, poi ti diverti ad accelerare di nuovo e poi ancora vuoi sottomettermi a tutte le tue voglie. Me lo sbatti dentro con tale violenza e cercando di fare in modo che entri talmente tanto, che tutto non è ancora abbastanza; mi monti, sempre da dietro, stando col busto sopra di me, appoggiandoti con i piedi e tenendo le ginocchia flesse attorno ai miei fianchi, con il tuo cazzo che entra ed esce come uno stantuffo, quasi perpendicolare al mio buco; mi tiri per i capelli mentre continui a incularmi forte, oppure mi tieni per le spalle, per ridurre l’ondeggiamento del mio corpo; appoggi il ginocchio destro accanto al mio e, sempre dandomi dei colpi, allunghi la gamba sinistra fino a che il tuo piede non schiaccia la mia testa contro il divano su cui mi stai prendendo. Io grido sempre più forte perché godo come raramente mi capita e tu continui a dirmi: “Sssh, ssh!”. A tratti mi metti anche una mano sulla bocca perché sai che mi stai penetrando violentemente e che non posso far altro che gemere. Durante un tempo che a me pare infinito, m’inculi premendomi la faccia contro il cuscino del divano, in modo che io possa gridare senza essere udito. Poi mi parli da dietro, senza interrompere il tuo va e vieni, ma riducendo moltissimo la forza e la velocità, e io giro il capo e ti osservo dire: “Volevi cazzo? Eh? Volevi cazzo, sì o no?”. Sibilo un “Sì”, mescolato a un gemito. “Allora adesso lo prendi e stai zitto!”. E ricomincia la monta.
Ecco quello che sta funzionando. Il tuo fiuto animale ha capito esattamente ciò di cui avevo bisogno: e tu me lo dai. Di tanto in tanto, per sei o sette volte, estrai completamente la nerchia ed osservi il mio buco, fai colare dalla tua bocca un po’ di saliva, e riprendi a martellare. Ad un certo punto, mi fai mettere in piedi, abbracciato a una trave verticale che spunta dal pavimento e, facendomi divaricare le gambe e appoggiarne una sul divano, ti garantisci, furbetto, la migliore apertura del mio culo. “Così, così, troia!”, mi sussurri mentre me lo ficchi dentro fino in fondo tanto da farmi quasi male. Poi: “Di nuovo a pecorina!”, ordini. Ti metti in piedi dietro di me, con uno strattone mi tiri per i fianchi per avvicinare di più il mio culo a te, e inizi a incularmi a un ritmo via via più sostenuto. “Adesso ti sborro”, mi avverti infine. Con i miei gemiti ti incoraggio a farlo. Ti sento ansimare e finire dentro di me. Ancora in preda al piacere dell’orgasmo, ti pieghi su di me. Con una mano, raggiungo anch’io rapidamente l’orgasmo. Poi, prima che tu sfili definitivamente il tuo cazzo, allungo una mano dietro per toccarti i coglioni appena svuotati.
“Adesso posso andare a dormire tranquillo”, mi dici qualche minuto dopo, osservando l’orologio: sono le due e mezza. Con una certa sorpresa da parte mia, sei tu a lanciare l’esca: “La prossima volta”, mi dici, “dovrà essere a casa tua, perché io in realtà sono ospite qui solo per qualche giorno ancora e sto cercando un altro appartamento in affitto. È un casino”. “Non ti preoccupare, Al.”, ti dico amichevolmente, “a rilassarti ci penso io”.

sabato 25 agosto 2012

Obiettivamente

Nome: I.
Genere: maschio.
Età: 32 anni.
Etnia: bianco.
Statura: 172 cm.
Corporatura: magro.
Capelli: castani scuri, corti.
Villosità: scarsa.
Lunghezza del pene: 18 cm.
Grossezza del pene: grosso.
Orientamento: bisessuale.
Ruolo sessuale: attivo.
Relazione affettiva: solo.

Primo contatto: 28 luglio 2012, ore 16,56. 
Milk: Ciao. Che bel cazzo!
I. (16,58): Perfetto per il tuo culo.
Milk (18,19): Se vuoi, puoi provarlo. Hai una foto del viso?
I. (20,10): Eccola, una tua?
Milk (20,12): Eccola.
I. (20,14): Se ti va possiamo vederci...
Milk (20,17): Ok. Dimmi quando puoi e cosa ti piace fare.
I. (20,27): Mi piace molto baciare e mi fa impazzire quando mi fanno un bel bocchino e sono attivo. A te cosa piace? Dovrei fare la doccia e cambiarmi, un quarto d’ora circa e poi dipende da dove abiti, io vivo nel quartiere L. e mi sposto.
Milk (20,33): Anche a me piace baciare, accarezzare, leccare i capezzoli e i coglioni, succhiare un bel cazzo. E mi piace molto farmelo mettere dietro. Io vivo vicino alla stazione della metro Tale.
I. (20,37): Beh, siamo vicini. Faccio la doccia e tra 35-40 minuti arrivo. Dammi l’indirizzo e ti avviso quando esco.
Milk (20,43): Ok. Vivo in... Prima di uscire, dammi il tuo numero di telefono.
I. (20,44): nnnnnnnnn. Vado a farmi la doccia, quando sono pronto ti avviso qui.
Milk (20,47): Ok.
I. (21,16): Pronto per uscire, tra 20 minuti arrivo. A dopo.
Milk (21,17): A dopo.

Incontro
Il soggetto attivo (d’ora in poi “l’attivo”) si presenta, dal punto di vista fisico, come da descrizione schematica riportata più sopra. Il suo comportamento, dopo aver varcato la soglia di casa del soggetto passivo (d’ora in poi “il passivo”), è deciso, ma questo appare più un’abitudine o un modo per vincere un’intrinseca timidezza, che una reale caratteristica del suo carattere. Rifiuta l’offerta del passivo di bere qualcosa e invece lo avvicina rapidamente e lo bacia. Si tratta di baci profondi, con reciproco sfregamento della lingua. L’eccitazione di entrambi i soggetti si fa via via più evidente osservando l’accelerazione della loro respirazione, dapprima lieve e poi sempre più marcata, e le azioni compiute dalle loro mani: quelle dell’attivo palpano e cercano ripetutamente di attrarre a sé i glutei del passivo, mentre quelle del passivo sfiorano e stringono i capezzoli dell’attivo, sotto la maglietta di quest’ultimo.
Il passaggio alla fase successiva è marcato da un’azione subitanea del passivo, che si toglie la maglietta. Il gesto viene interpretato dall’attivo come l’occasione per togliersi di dosso tutti i panni e ciò finiscono per fare entrambi i soggetti che restano, al termine dell’azione, completamente nudi. Si nota nell’attivo un vistoso fenomeno erettivo, che a questo stadio potremmo definire quasi completo, mentre il pene del passivo si presenta flaccido, seppur di dimensioni aumentate rispetto alla posizione c.d. “a riposo”. In questa fase, i due soggetti si trovano di nuovo in piedi, nuovamente stimolano le mucose orali secondo il già visto procedimento del bacio in bocca, ma mentre ora il passivo tocca delicatamente il membro virile dell’attivo, con l’intento palese di saggiarne la consistenza, la parte opposta ritorna alla palpazione dei glutei del passivo, introducendo tuttavia un’importante novità: la ricerca, effettuata dal dito indice della mano destra, dell’orifizio anale del soggetto in questione. In questa fase, dunque, i rispettivi ruoli sono richiamati direttamente dai gesti compiuti, i quali rinviano alle funzioni delle rispettive parti del corpo toccate dai due soggetti: penetrativa quella della verga dell’attivo, ricettiva quella dell’ano del passivo.
La fase seguente, a differenza della precedente, principia per iniziativa dell’attivo, il quale pone una mano sul capo del passivo, esercitando una lieve pressione verso il basso, assumendo così un comportamento molto frequente fra i maschi attivi quando intendono segnalare al partner il desiderio che si effettui su di loro una fellatio o rapporto orale (volg. “pompino” o anche “bocchino”). La risposta del passivo, registrata spesso anch’essa, consiste in una certa resistenza, la quale è tuttavia motivata dal desiderio di aumentare l’eccitazione dell’attivo, prolungando l’attesa, e non dal rifiuto della pratica in sé. Infatti, dopo un’altra pressione, questa volta di più alta magnitudo, il passivo cede e s’inginocchia davanti all’attivo. Dopo aver aperto il cavo orale, vi fa entrare il membro dell’attivo, aiutandosi nell’operazione con la propria mano destra. L’eccitazione del passivo cresce in una maniera che può essere misurata dall’erezione del proprio membro (ormai completa) e dai gemiti che, pur con la bocca occupata dal pene dell’attivo, riesce a emettere. L’attivo si limita ad osservare attentamente l’azione in corso e il suo membro presenta una turgidità costante.
Dopo svariati minuti, con un gesto lento ma deciso, l’attivo toglie improvvisamente la mano destra del passivo dal proprio membro, facendo così scivolare l’incontro nella sua quarta fase. L’attivo desidera evidentemente che il passivo utilizzi unicamente la bocca e infatti ora quest’ultimo, sempre inginocchiato, posa entrambe le mani sui glutei dell’attivo e pratica una fellatio dai movimenti più rapidi rispetto alla fase precedente. Il piacere provato dall’attivo appare in costante aumento ed è rilevabile dal suo ansimare e dal fatto che, chiudendo gli occhi, alza il capo. Il successivo comportamento dell’attivo, che a nostro avviso non apre una fase nuova ma costituisce semplicemente uno sviluppo di quella in corso, consiste nell’apposizione delle proprie mani sul capo del passivo e nell’attrarre quest’ultimo a sé, per verificarne l’effettiva capienza del cavo orale (c.d. “gola profonda”). Si rileva così l’introduzione nella bocca del passivo di 16-17 centimetri dei 18 di cui è dotato il pene dell’attivo, sicché 1-2 centimetri della base del membro rimangono all’esterno, mentre all’interno il glande dell’attivo giunge a toccare la gola (il passivo infatti trattiene il respiro e forza la dilatazione della gola, per evitare il tipico stimolo che provocherebbe il vomito). Importante notare che tutta l’operazione è grandemente agevolata dalla particolare forma del pene dell’attivo che, in posizione eretta, si presenta perfettamente perpendicolare al ventre di quest’ultimo, nel suo tratto iniziale, e poi, nella parte finale e fino al glande, piuttosto grosso ma di forma allungata, leggermente curvato verso il basso.
Per impulso dell’attivo si apre la quinta fase, caratterizzata da una violenta irrumatio (“coito orale” o, volg. “scopare la bocca”): il soggetto, senza togliere le mani dal capo del passivo, inizia dei movimenti penetrativi ad ampia oscillazione, durante lo svolgimento dei quali, cioè, il pene viene estratto quasi completamente dal cavo orale del passivo per poi essere nuovamente e subitamente infilato più a fondo possibile, sfruttando interamente, per quanto osservato, la capienza del passivo. La durata di questa fase è di cinque minuti, sebbene con numerosissime pause, per permettere al passivo di prendere fiato. Lo sforzo di quest’ultimo soggetto è reso evidente dai gemiti che emette, dal fatto che chiude gli occhi con forza e dall’abbondante perdita di saliva. Sforzo che, va notato, non è disgiunto da un certo piacere o, in senso più lato, da eccitazione, rilevabile da una modesta, seppur significativa, dilatazione dell’orifizio anale.
Nessun controllo viene esercitato dal passivo ormai da molto tempo. Come si è visto, infatti, l’unica iniziativa presa autonomamente dal passivo, senza sollecitazione dell’attivo, risale alla prima fase. Non fa eccezione nemmeno la conclusione dell’incontro tra i soggetti in questione (sesta e ultima fase). L’attivo, ansimando in uno stato evidente di sovreccitazione, chiede al passivo un preservativo: è la dichiarazione, implicita però inequivocabile, della propria volontà di penetrare il passivo. Qual è lo stato dei due corpi in questo momento, immediatamente precedente al coito vero e proprio? L’attivo presenta ormai dalla terza fase un’erezione completa, possente e perfettamente costante, che non scema minimamente nemmeno durante la posa del preservativo: la penetrazione è non solo possibile, ma anche fortemente desiderata dal soggetto. Diverso è il caso del passivo, che ha scelto (unico margine d’arbitrio, si direbbe) di farsi penetrare in una posizione che più di alcune altre ne indica la sottomissione: le ginocchia interamente appoggiate al supporto, il busto reclinato in avanti, le braccia tese e le mani anch’esse appoggiate al supporto (c.d. “a quattro zampe”, volg. “alla pecorina”, “a pecora”). Si nota un rapido ed accentuato decadimento dell’erezione del passivo, per l’imminente e atteso passaggio della stimolazione alla regione anale. L’orifizio anale, tuttavia, presenta una dilatazione assai modesta e l’apposizione di gel lubrificante nello stesso avviene, da parte del passivo, con gran rapidità. L’attivo, vinto dall’istinto, postosi in piedi dietro al passivo, appoggia la punta del membro sull’orifizio del passivo e lo spinge verso l’interno con forza eccessiva, tanto da provocare l’emissione di un grido di dolore da parte del passivo. L’estrazione è immediata e il passivo si muove. L’attivo cerca di afferrarlo per i fianchi e di rimetterlo in posizione per tentare di nuovo l’introduzione del pene nell’ano, ma il passivo sparge una dose abbondante di lubrificante sul pene dell’attivo.
Ripresa la posizione iniziale, l’attivo riesce finalmente a penetrare il passivo ed inizia così la monta. Nonostante la corporatura abbastanza esile dell’attivo, le spinte coitali sono, fin dai primi momenti, piuttosto vigorose. Aumentano di profondità, intensità e rapidità, quando l’attivo fa avanzare il passivo in modo da poter egli passare da una postura eretta a una posizione in cui si trova inginocchiato dietro il soggetto ricettivo. Il piacere dell’attivo, che nel frattempo ha messo le mani sui fianchi del passivo ai fini di ridurre l’instabilità del corpo di quest’ultimo dovuta alla forza dei colpi che riceve, è rilevabile dagli ansimi sempre più violenti che emette. Similmente, il godimento della parte ricettiva è sottolineato dai suoi gemiti, ormai forti ed incontrollabili, ma anche dalla notevole dilatazione anale e dalla ripresa, dapprima timida e poi sempre più evidente, del fenomeno erettivo.
Sostenendo di essere ormai prossimo all’acme, la parte insertiva fa spostare il passivo: i due soggetti si trovano ora in piedi uno dietro l’altro. La parte ricettiva ha il busto leggermente piegato in avanti e sporge i glutei, assumendo una postura tipica di maschi e femmine passivi. L’attivo, che gli si pone dietro, la penetra nuovamente. Il movimento oscillatorio della parte insertiva presenta ora un’ampiezza decisamente ridotta rispetto a prima, cioè il pene viene estratto molto meno dall’ano, pur rimanendo la penetrazione estremamente vigorosa. “Vengo!” è l’esclamazione usata dall’attivo per segnalare al passivo l’inizio del proprio orgasmo, mentre quest’ultimo risponde semplicemente: “Oh, sì”. Entrambi i soggetti sperimentano l’orgasmo quasi contemporaneamente, gemendo (il passivo con maggior forza, l’attivo più discretamente) ed eiaculando (volg. “sborrando”).

Secondo contatto: 23 agosto 2012, ore 15,16
I.: Come va? Se uno di questi giorni ti va di vederci, dimmelo... Questo fine settimana lavoro, però il prossimo sarò in vacanza.

lunedì 20 agosto 2012

Un tipo deciso

Il colpo è fortissimo e scuote l’intero mio corpo, facendolo oscillare. Prima la spinta in avanti, violenta; immediatamente dopo, il rinculo. Quando mi sono messo a pecorina, offrendogli il mio culo perché lo prendesse e lo facesse suo, lui si è inginocchiato dietro di me, ha afferrato con forza i miei fianchi e li ha stretti nelle sue mani grandi. È in quella posizione che, con estrema rapidità, il suo cazzo, la cui cappella aveva appoggiato contro il buco, è affondato completamente nelle mie viscere, lasciando fuori solo i coglioni. Un colpo di reni rapido, secco, calcolato per fare almeno un po’ male. Un secondo, forse meno; quanto basta per farmi gridare forte e per udire il suo grugnito.
Malgrado durante i preliminari abbia speso molto tempo intorno alla mia apertura, leccandola lentamente, con notevole pazienza, spingendoci dentro un dito e poi due, e abbia provocato quindi una certa dilatazione, l’ingresso brutale del suo cazzo mi fa male. Brucia. La sensazione è quella di un grosso palo rovente improvvisamente piantato dietro. Tuttavia, è esattamente quello che voglio, perché era quello che desiderava lui. Mi aveva avvertito, descrivendo il suo modo di sottomettere i ragazzi che fotte: “Mi piace rompere culi già rotti”. Il suo linguaggio crudo e diretto, che ben si addice al suo aspetto massiccio e virile fino all’eccesso, mi aveva dato il capogiro. E mi aveva convinto a incontrarlo. “Con me dovrai essere molto resistente”.
La meticolosità con la quale ha compiuto ogni gesto, da quando è entrato in casa e fino a poco fa, mi ha fatto fremere d’impazienza. I suoi baci sono prolungati e iniziano dolcemente ma poi si fanno più violenti, quasi che con la sua bocca voglia mangiarsi la mia. Mentre mi morde leggermente le labbra, strizza i miei capezzoli e li tira, per sentire i miei gemiti tra i suoi denti. E quando dedica le sue più sincere attenzioni alla parte che di me gli interessa di più, per prepararla ad accoglierlo degnamente, io sono piegato a succhiargli il cazzo, che non è più lungo della media, ma è bello grosso e nella mia bocca si sistema perfettamente, riempiendola. Quasi a voler rispecchiare fedelmente tutti gli stereotipi sulla virilità, E. ha anche un paio di coglioni grossissimi, che fatico a stringere con una mano sola mentre con la bocca ben stretta intorno al suo gingillo vado su e giù, sperando gli piaccia. Si lascia fare, però non reagisce, indaffarato com’è con bocca lingua e mani attorno al mio culo, concentrato sulla reazione del buco al suo passaggio.
Si apre, ed E. lo nota, sicché inizia a farmi ditalini sempre più nervosi con un dito e poi con due e chissà se è arrivato a metterne tre. “Mmh, mmh, mmh!”, mugolo io, che già non reggo più tanta eccitazione e sbavo sulle sue palle. Resta perfettamente in silenzio. Con la coda dell’occhio vedo che, senza smettere di tormentarmi il buco, osserva come lo spompino, con un sorriso stampato sulla faccia e uno sguardo assai eloquente. 
“Adesso ti metti a pecora”, sbotta a un certo punto. La ricreazione è finita. Mentre io eseguo l’ordine, E. si alza per frugare nella sua borsa a tracolla. Prende un preservativo che si infila rapidamente e poi sento che, con un po’ di lubrificante, umidifica il mio buco. Così adesso grido il mio dolore, il corpo si tende all’improvviso, nel culo una fitta che non sentivo da secoli. Sta già scivolando verso l’esterno, già intuisco la sensazione di sollievo che proverò nel momento in cui tutta la sua nerchia sarà fuori, ma all’improvviso E. arresta il movimento e imprime un altro colpo di reni, rapido e violento, verso l’interno del mio culo, dove affonda di nuovo. Grido ancora e questo, con tutta probabilità, lo eccita ancora di più. Ripete il movimento ancora dieci, forse venti volte, con precisione millimetrica. Pam, estrazione, pam, estrazione, pam, estrazione,... Finché il dolore sparisce, sostituito da un piacere enorme che pulsa nella mia testa e non mi molla un secondo. 
“Che bel culo”, si lascia sfuggire, preludio di una variazione di ritmo: adesso è un va e vieni continuo, lineare, oscillatorio, rapido e profondo. Pam-pam-pam-pam-pam-pam-pam... Il mio busto si piega fino ad appiattirsi contro i cuscini del divano. Sporgo il culo e ad ogni colpo sento i coglioni di E. sbattere contro di me. Sto godendo, e glielo dico, ansimando lo supplico di continuare a chiavarmi come sta facendo, che mi piace.
Ma a un certo punto lo sento ansimare e poi gridare. Tira fuori il cazzo improvvisamente e forse vorrebbe schizzarmi addosso, ma faccio giusto in tempo a girarmi per vedere il preservativo riempirsi di sborra.
“Cazzo, sono venuto!”, mi dice con aria dispiaciuta.
“Eravamo qui per questo, no?”, ammicco io.
“Dài, rimettiti a pecorina e menati il cazzo”.
“Perché a pecorina?”, mi chiedo fra me e me. Ma perché così E. può masturbarmi a modo suo, infilando le sue dita dentro il mio culo dilatato. E non so quante sono, solo capisco che sono tante. E vengo.