lunedì 30 gennaio 2012

R., ancora, ancora, ancora

Venerdì scorso ho rivisto R. Dopo l’incontro per me catastrofico della settimana precedente, la comunicazione tra di noi si era diradata parecchio: qualche cazzatina via Whatsapp, la segnalazione di un articolo, robetta che serviva a me unicamente a ribadirgli la mia esistenza in vita. Siccome percepivo che quest’esigenza era mia e solo mia, avevo già deciso di desistere totalmente. Gli ho lanciato quindi un ultimo ballon d’essai in modalità desperate on, senza però darlo a vedere: “Ti va di vederci oggi?”. Pensavo che quasi certamente avrei rimediato una risposta negativa. Invece: “Dopo te lo dico. A che ora puoi?”. Gliel'ho scritto, e lui: “Ok, ci vediamo alle sei”. Siccome l’iniziativa parte sempre da me e le sue risposte mostrano sempre questo livello di entusiasmo, mi dico che potrebbe anche essere l’ultima volta: se accetta di vedermi solo per farmi un favore, tanto vale che lo ammetta e poi potrò essere io a troncare questo rapporto, caratterizzato da uno squilibrio tanto evidente.
Invece arrivo all’appuntamento e, fin dai primi secondi, mi tocca misurare l’abisso tra le mie masturbazioni mentali e la realtà dei fatti. Lo trovo all’incrocio di sempre, intabarrato per il gran freddo. Un sorriso, gli sorrido. “Andiamo al cinese qui vicino, devo comprare qualcosa da mangiare e da bere, l’altro negozio è chiuso”. Poi a casa sua, ci fondiamo in abbracci lunghi e baci e “appoggia l’orecchia sulla mia guancia... Sì, è fredda. L’altra?”. E ridiamo di questo giochino. Questa volta ha avuto il tempo di accendere il riscaldamento. Il calore e l’odore di casa sua mi avvolgono e io mi sento di nuovo bene. Lo vedo rilassato, allegro e anche molto affettuoso. Passiamo un po’ di tempo a toccarci, a guardarci e a parlare di noi. Ad accarezzarci. Desidero il suo corpo e sento che lui vuole il mio. Dove si sono cacciati i problemi che mi ero fatto fino a quel momento? Se quando siamo vicini stiamo bene entrambi e abbiamo voglia l’uno dell’altro, perché mi preoccupo tanto?
Così scivoliamo piano piano tra le lenzuola del suo letto e porca vacca, quanto mi piaci, R.! Percorro con lo sguardo e poi con le mani, decine di volte, il suo torso, la sua pancia, l’inguine, accarezzo le palle e il cazzo, lungo e duro e la cappella grossa e sempre scoperta. Succhio quei capezzoli con infinita avidità e vorrei restare lì per sempre. Mi dirige più volte la mano dove più gli piace che gliela passi in quel momento: la vuole sopra il buco, impertinente, o di nuovo sui capezzoli, ma “sfiorali soltanto, sfiorali soltanto”, mi dice con voce bassissima, calda, vellutata, morbida. E questi, per contrasto, diventano duri, sporgenti, spigolosi e allora ansima, si impugna il cazzo e me lo mostra, duro e svettante, e lo strofina contro il mio braccio, il mio torso. Provo a mettermelo in bocca, ma riesco solo a succhiargli un po' la cappella.
In effetti, lui si sta già affannando a cercare nel cassetto del comodino il lubrificante. Mi vuole aprire il culo e lo fa, con un dito, due dita. Ma ha più fretta del solito, più voglia di starmi dentro. Quindi questa volta non lo lecca, ma si infila rapidamente un preservativo e mi incula. Eccomi alla pecorina, eccoti il mio buco. E lui si muove rapido, dentro e fuori, a ogni movimento me lo sbatte fino in fondo e poi lo fa quasi uscire. Mi dà delle pacche molto forti sul culo e io gemo. Tiene aperte le mie natiche afferrandole talmente forte con le mani, che mi sento lacerare il buco. Mi possiedi e sono tuo, R., sono tuo.
Mi fa distendere a pancia in giù, mi morde le natiche, le schiaffeggia, poi mi lecca la schiena fino alle spalle. “Sporgi il culo, dài, tienilo più in alto”, mi ordina poi, così gli offro il buco e lui ci infila un’altra volta la nerchia, mentre sbuffa e io godo. A un certo punto si blocca: “Se continuo così, vengo”. Porto le braccia dietro di me e, come posso, gli accarezzo il culo e lo premo verso il mio corpo perché mi penetri ancora; siccome rimane fermo, provo a muovere il bacino per far scorrere il suo cazzo dentro di me, ma lui lo toglie, si alza e mi fa mettere su un fianco con le gambe schiuse. “Così lo senti meglio”, mi dice mentre mi penetra. E io godo della sua mazza, del mio culo così ricettivo e accogliente e della vista del suo corpo, del suo torso peloso e dei suoi capezzoli che adesso sfioro, sfioro soltanto. Di tanto in tanto si china per baciarmi, senza smettere di incularmi. Poi il ritmo si fa più sostenuto e lo vedo ansimare e gemere, reclinare la testa, chiudere gli occhi e poi tornare a fissare i nostri corpi esattamente là dove si stanno unendo. Forse il suo godere in questo momento è in quella vista così semplice e al tempo stesso così lussuriosa: il suo cazzo dentro il mio culo. È rosso in viso e sempre più affannato: “Sto per sborrare”, mi avverte. “Sì,” gli dico io, “vieni”. “Ooooooh, oooooh!”, grida mentre mi sbatte ancora più forte, la faccia contratta in una smorfia di dolore che vuol dire piacere. Poi si accascia al mio fianco, ancora tremante e ansimante, così che io possa raggiungere con una mano il mio uccello e lasciar andare anche il mio orgasmo che, puntuale, arriva dopo qualche istante.

Mi stai già parlando della prossima volta che ci vedremo e sei tornato a sorridere. Ho capito, R.  Sono stato un po’ cretino, lo ammetto. Non sarò il tuo tipo ideale, però ti piaccio e me l’hai dimostrato, anche se a modo tuo. Io ti adoro, ma so che non posso darti tutto quello che adesso desideri per te: una coppia, la stabilità, la sicurezza. Può finire domani, non appena arriverà qualcuno che ti terrà legato a sé. Lo so. Allora godiamoci gli attimi belli che sappiamo regalarci e non pensiamoci. Viviamo di quelli e per quelli. A nostro modo, siamo preziosi l’uno per l’altro. Ora mi basta.

domenica 29 gennaio 2012

La strana venuta dell'Uomo Silenzioso

II.
Sto esplorando nudo tutti gli angoli della boscaglia dietro la spiaggia, dove gli uomini si appartano per scopare, quando vedo tra i cespugli un tipo che mi osserva toccandosi il cazzo attraverso il suo costume nero. Deve avere sì e no quarant’anni o forse qualcosa di più. È magro, ha capelli neri e corti. Capisce che m’interessa, allora si avvicina un po’ e si nasconde in un piccolo spiazzo tra i cespugli dove in terra si notano evidenti i segni del passaggio di altri uomini: preservativi usati con relative bustine, fazzoletti di carta sporchi di sborra o merda, qualche sacchetto.
Mi addentro nella radura e mi avvicino a lui. Non ci scambiamo neanche un “ciao”. Inizia subito a mordermi i capezzoli e probabilemente capisce che la cosa mi piace perché il cazzo mi sta diventando duro. Allora si toglie il costume e mi mostra il suo cazzo: è un po’ più piccolo della media e questo mi delude un po’. Tuttavia, siccome mi spinge con una mano verso il basso ed io colgo perfettamente la sua richiesta implicita nel gesto, mi inginocchio, apro la bocca e vi faccio entrare l’uccello. Mi lascia assoluta carta bianca, sicché glielo succhio con calma, mentre lui non si muove e non forza minimamente la situazione.
A un certo punto, però, mi fa rimettere in piedi, mi gira in modo da rimanere dietro di me e inizia a muoversi in maniera strana: strofina il suo corpo contro il mio, un po’ come fanno i cani quando si masturbano sfregandosi contro le gambe del padrone. Più precisamente, è il suo cazzo a premere contro una delle mie natiche, mentre mette le sue braccia attorno alle mie spalle e al petto, stringendomi in un abbraccio da dietro. Anche se la situazione non è affatto sgradevole, non capisco bene quali siano le sue intenzioni, quindi faccio per liberarmi e girarmi, quando improvvisamente sento i suoi gemiti e un liquido caldo che cola lungo la mia gamba destra. Mi giro con uno scatto e vedo il suo cazzo pulsante dal quale escono le ultime gocce di sborra. Poi osservo la mia coscia, dove si trova ora la gran parte dei suoi schizzi.
Gli sorrido perché sono contento che sia venuto nella maniera che evidentemente più gradiva e di avergli dato il piacere che desiderava. Continua a tacere, però prende un fazzoletto di carta dallo zainetto che ha con sé e me lo porge. “Grazie”, gli dico io, ma non risponde. Mi pulisco la gamba mentre lui con un altro fazzoletto si asciuga la cappella. Poi me ne vado, senza dire nulla.
Vado a fare un bagno, per togliere anche le ultime tracce di seme secco dal mio corpo.

giovedì 26 gennaio 2012

Odio zen

Bene. Adesso tu raccogli le tue scarse forze residue e, dopo aver mandato sonoramente a cagare l’architetto per averti fatto perdere con le sue idiozie e la sua inaudita arroganza non solo tempo prezioso ma anche una scopata che si annunciava promettente anzichennò, ti fai una bella camomilla e ti calmi. Lascerai scorrere le ore che mancano alla fine della giornata come se la cosa non ti riguardasse e andrai a dormire accompagnato dall’indifferenza.
Domani devo comprare fiori.

Nervi

Architetto bastardo. A causa tua, salta il mio appuntamento scopereccio con Santi previsto per oggi. Tu sei il Maligno.

Trait d'union

Un tratto d’unione o trattino è un segno di punteggiatura. Viene utilizzato nelle parole composte e nella sillabazione. È spesso confuso con la lineetta, che è differente ed ha differente funzione, e con il segno meno che è anch’esso differente. Il tratto d'unione è stato usato probabilmente per la prima volta da Johannes Gutenberg di Magonza, in Germania, nel 1455 circa per l'edizione della Bibbia a 42 righe per pagina. L'esame di una copia originale in pergamena (Hubay index #35) presente presso la biblioteca del Congresso mostra che i caratteri mobili di Gutenberg erano giustificati in uno stile uniforme di 42 righe uguali per pagina, mediante sillabazione. La sillabazione consiste in una divisione di una parola in due sillabe o gruppi di sillabe, la prima delle quali viene terminata correntemente con un trattino e la seconda delle quali viene portata a capo della riga successiva. Nella sua Bibbia a 42 pagine Gutengerg usò invece, per la sillabazione, un doppio trattino inclinato a destra con un angolo di circa 60 gradi.
Prima che Gutenberg impostasse le prime righe stampate del mondo occidentale con i caratteri mobili non vi era necessità di giustificare le righe usando la sillabazione.
Può aiutare nel comporre due o più parole, esempio: italo-eschimese, teorico-pratico.
Da: Wikipedia.

SuperSanti

Eh, sì, perché Santi è un vero toro da monta e il solo pensiero di farmi prendere da lui mi fa girar la testa. Sicché ci penso spesso e volentieri e, dopo quella prima volta, a più riprese torno all’attacco per organizzare un appuntamento con lui, ma è difficile trovare un momento che vada bene a entrambi.
Poi, un giorno, il miracolo. “Ho voglia del tuo cazzo”, gli faccio sapere con un messaggio che, se non è scritto in francese, per lo meno ha il pregio di essere chiaro, diretto e conciso. “E io del tuo culo”, mi risponde Santi appena qualche secondo dopo. Lo stile è identico e la sintonia perfetta. Appuntamento fissato in pochi minuti. A casa sua, come la prima volta. Nelle ore che mancano all’incontro, ci scambiamo altri messaggi perché non solo i corpi bruciano, ma anche le nostre menti.
“Vieni presto... Ho già voglia... Non fare tardi, per favore... che sto impazzendo”.
“Davvero? Ce l’hai già duro?”.
“Quasi. È diventato grosso però non ancora durissimo”.
“E i coglioni? Pieni?”.
“Siiiii, ieri non ho sborrato”.
“Ma devi sborrare ogni giorno? Cazzo...”
“:-) No, per niente, solo che ieri ero eccitato e non sono venuto. Ho voglia di prenderti adesso!!!”.
“Va bene, tra venti minuti sono lì”.
“Così mi piace. Ti aspetto in slip? Con un porno?”.
“Perfetto. Però un porno con molto anal”.
“Ok, non ti trattengo oltre... Sto scegliendo il film”.
“Io sono in calore come una cagna”.
“:-)))”.
Sono giorni, settimane che desidero essere chiavato di nuovo da quel bel maialone, sicché in calore lo sono davvero. Trasudo letteralmente libidine e lussuria tanto che la presenza di qualsiasi maschio sulla carrozza della metropolitana che mi porta verso l’alcova è fonte di turbamento e innesca fantasie erotiche potenzialmente infinite.
Mi apre in slip, come promesso. Poche parole mentre comincia a toccare il corpo senza quasi darmi il tempo di togliere la giacca. Vuole avermi nudo in fretta, quindi mi aiuta a spogliarmi finché anch’io resto in slip. Sono già molto eccitato e comincio a strusciarmi contro il suo corpo, pelle contro pelle, mentre vedo il rigonfiamento tipico del torello arrapato. Mi sento davvero un animale, senza alcuna metafora, una bestia da possedere, da aprire, da chiavare. Osservo per un attimo il pacco, mi giro e, chinandomi leggermente in avanti, sfrego il culo contro i suoi slip. Lo sento premermi il cazzo contro, poi, con un gesto rapido e un po’ violento, mi abbassa gli slip, si succhia un dito e, dopo aver massaggiato brevemente il buco, lo mette dentro. Poi lo muove avanti e indietro, freneticamente, e in quel momento preciso scatta un godimento che non è più solo mentale, ma anche fisico. Un punto di non ritorno, la nostra dichiarazione d’intenti: sono aperto per te, Santi - ce l’ho in tiro per te, Milk.
Estrae il dito. Si leva gli slip. Il suo cazzo è lì, tutta la sua potenza accessibile alle mie mani, ai miei occhi e a tutte le parti del corpo che possano accoglierlo. Mi inginocchio e prendo quel fantastico palo in bocca. Come la prima volta, salto tutti i preliminari. Gli metto le mani sul culo e lo spompino. Avanti e indietro, con foga e mugolando. “Succhiami il cazzo, sì, così, succhiami il cazzo, succhiami il cazzo... Mmmh, cazzo!”. Il trattamento orale lo manda fuori di testa, sento che gode da matti, ma vuole di più. Mi afferra la testa con due mani e comincia a muoversi avanti e indietro con sempre più forza, ansimando. “Ti scopo la bocca, ti fotto la bocca, troia. Prendi il mio cazzo, prendi”.  Soffoco, trattengo il respiro, lascio che si sfoghi con tutta la violenza che ha. Io porto la mia mano sul mio buchetto, ci gioco, mi masturbo così, infilandomi prima un dito, poi due, mentre lui continua, imperterrito.
Toglie il cazzo dalla bocca all’improvviso, mi afferra per un braccio e quasi mi scaraventa sul divano-letto che ha provveduto ad aprire in soggiorno. “Vieni qua, dài, voglio continuare a scoparti la bocca”. Si mette in ginocchio sul letto, io gli do la bocca mentre mi sistemo a quattro zampe. In modo del tutto naturale, sento che il mio culo sporge in alto al limite del mio corpo. Mugolo mentre Santi s’insaliva la mano e la passa e ripassa sopra quella che adesso chiama la mia “fighetta”. Senza smettere mai di pompare con la sua nerchia nella mia bocca, mi infila di nuovo un dito in culo. Poi noto dallo spessore che ne mette due e poi chissà, tre o quattro. Il livello di piacere e di sintonia che stiamo raggiungendo è così alto che mi scoppia la testa. Mi metto in ginocchio sul letto, di fronte a lui, e allora mi bacia mentre gli smanetto l’uccello. “Ti piace il mio cazzo? Eh? Ti piace?”, mi chiede con un mezzo sorriso.
Più mi provoca, e più mi sento vacca. Senza che possa davvero controllare quello che sto facendo, mi ritrovo a strofinare il culo contro il bordo del letto. Sento il buchetto che struscia contro il lenzuolo mentre io lo guardo e mi carezzo i capezzoli. “Adesso aprimi il culo col cazzo, lo voglio dentro”, gli dico senza capire più niente, inebriato da tanto piacere. Santi non se lo fa ripetere due volte. “Distenditi a pancia in su”, mi ordina. Io me ne sto allora così, con le gambe all’aria e reclinate verso il mio petto, offrendogli la vista del mio buco che lui lecca, succhia e infine massaggia con la cappella. “Che troia... Che buco che hai...”, mi dice per provocarmi. Sa che ogni secondo di esitazione con la punta di quel cazzo che solletica il mio buco è una sofferenza per la cagna in calore che sono e accresce la voglia di tenerlo dentro. Preservativo al cazzo, qualche goccia di lubrificante sull’uccello e sul mio buco e in un attimo me lo ritrovo in fondo al culo. Grido perché sento quella mazza aprire la mia carne e picchiare senza pietà, mentre sopra il mio volto Santi ansima. Mi prende con molta violenza, come se non scopasse da anni o meglio, come se quella debba essere la sua ultima chiavata. Non mi lascia un attimo di respiro, stantuffa col suo cazzo dentro e fuori mentre io stringo la presa delle mie gambe contro il suo torso offrendo ancora di più il mio culo ai suoi colpi. Siamo talmente avvinghiati che la sensazione di essere un corpo solo mi dà le vertigini.
Continua così per un bel po’, ma, come la prima volta, Santi vuole vedere l'unione sacra della sua mazza col mio culo e allora mi fa mettere alla pecorina e lo infila di nuovo, mi sbatte in maniera brutale: prima appoggia le ginocchia sul letto, dietro di me, poi le alza, portandole intorno ai miei fianchi e chinandosi sopra la mia schiena. Gode, eccome se gode. E io con lui. Non resisto più e vengo. Lui, che lo nota, toglie il cazzo dal mio culo, si sfila il preservativo e lancia un altro ordine: “Menami il cazzo, dai”. Allora io con una mano gli faccio una sega e con l’altra carezzo le sue palle. Dopo poco tempo se lo afferra e viene, schizzando il suo bel latte sulle lenzuola e gridando tutto il suo piacere.

“Sei l’unico con cui riesco a sborrare anche dopo che l’altro è già venuto”.
“Ma figurati”.
“Te lo giuro! E mi piace un sacco scoparti la bocca”.
“Più del culo?”.
“No, però oggi ho goduto molto così. È che mi tiri fuori la mia parte violenta... forte, ecco”.
“È questo che mi piace di te”.

Se tutto va come deve andare, oggi si ripete.

mercoledì 25 gennaio 2012

Voglia di Santi

Silenzio radio da parte di R. Non un messaggino per sapere se sono vivo o morto e non dico una chiamata, che sarebbe troppo chiedere, ma neanche un’e-mail. Mi sono a lungo interrogato sulla natura della nostra relazione e sul masochismo intrinseco nel mio atteggiamento, ma ne parleremo in un altro momento. Oggi no, oggi ho proprio voglia di sbattermene sovranamente i coglioni. Ho la testa altrove e ne sono ben felice.
Oggi mi piacerebbe essere quella troia in calore che Santi il vizioso brama di avere tra le mani per sfinirla a colpi di cazzo. Mi ha già scopato due volte, il Santi, e sempre con risultati eccellentissimi. La prima volta che ci siamo visti ero mosso più dalla curiosità di provare quella mazza che mi aveva mostrato in fotografia e in tutte le salse, che dalle sue parole - vaghe, ma si intuiva già una certa gradevole maialaggine.
L’appuntamento era a casa sua. Si è presentato in maglietta e pantaloni della tuta e subito ho notato il film porno già ben avviato che scorreva sullo schermo davanti al divano dove ci siamo seduti. Mi ha chiesto se mi dava fastidio che avesse messo su quel tipo di film e io gli ho risposto “Assolutamente no”, pensando anzi che, se cinofilia doveva essere, almeno la sodomia in primo piano che ci stavamo sciroppando fosse ben più evocativa e adatta alla nostra situazione di, che ne so, “Via col vento”. Abbiamo cominciato a baciarci e presto la sua mano è scivolata sul mio culo.
“Spogliamoci, dài”, mi ha detto allora con quella faccia da ragazzino dispettoso che sembra aver conservato nonostante i suoi 47 anni. Entrambi siamo rimasti solo con gli slip, una sorta di “ultima frontiera” da varcare, fonte di un’eccitazione che andava ad accumularsi a quella che già avevamo. Ci siamo avvinghiati sul divano, uno di fianco all’altro, ma questa volta, mentre la sua mano si fissava sul mio culo, la mia percorreva il suo corpo, che ho trovato bellissimo. Più che muscoloso, è ben proporzionato e, soprattutto, vigoroso. È un po’ più basso di me, un bell’esemplare di torello. I peli sul petto e sulla pancia erano stati solo accorciati, senza raderli del tutto e questo mi è piaciuto assai. Quando la mia mano ha sfiorato i suoi capezzoli, questi si sono messi sull’attenti e mi hanno dato il benvenuto con un invito che non potevo rifiutare: mi sono quindi chinato sul suo petto e ho titillato con la lingua prima uno e poi l’altro, per poi mordicchiarli. Nel frattempo, sentendo l’urgenza di chiarire il motivo della mia visita, ho posato una mano sui suoi slip, pieni fino a scoppiare.
“Ce l’hai durissimo”, gli ho detto. Banale ma vero.
“Mi ecciti”, mi ha risposto con logica stringente.
Caduta anche la barriera dei suoi slip, mi sono ritrovato finalmente a contemplare quel cazzo che non è un cazzo, è un fallo sublime, è il membro ideale, la mazza tanto agognata. Una lunghezza nettamente superiore alla media, uno spessore sensibilmente superiore alla media, una circonferenza costante dalla base alla punta e una cappella perfettamente integrata al corpo della verga, nessuna curvatura ma una perpendicolarità rispetto al ventre di una precisione millimetrica, fanno di questo membro anzitutto un oggetto di design maschile davvero ammirevole. Restava da verificarne l’effettiva funzionalità, perché si sa, uno può anche avere un bel cazzo, ma se poi non lo sa usare... E questo Santi, per fortuna, lo sa.
Detto, fatto. Ho impugnato la nerchia di Santi e in un attimo l’ho fatta sparire nella mia bocca. Non mi sono nemmeno dilettato con il suo frenulo o i bordi della cappella, giocherellandoci con la lingua come faccio spesso con altri maschi, oh no. L’ingordigia mi ha aggredito e non ho saputo resistervi. E così l’ho spompinato mugolando come una troia. Inutile chiedermi, come Santi invece ha fatto, se mi piaceva il suo cazzo, perché sì, diamine, lo adoravo talmente tanto che me lo ficcavo giù fino in gola, senza poter arrivare con la bocca ai coglioni, ahimè, date le dimensioni di quel bell’esemplare di minchia.
“Succhia sto cazzo, succhia, dài, spompinami il cazzo”, ripeteva ossessivamente. Io, culo all’aria, mi facevo volentieri mettere dentro prima un dito, poi due, poi tre. “Che bel culo, puttana, che bel culo”. Oh sì, Santi, così. Finché l’ha aperto tanto che sarebbe stato un insulto non provare a intingerci il pennello. Prima, però, ha voluto ricambiare il lavoretto di bocca, allora mi ha fatto mettere alla pecorina, si è messo dietro di me e ha leccato il culo. La sua lingua passava sopra il solco e si fermava sul buco, penetrandolo quel tanto che era possibile. Dopo, tutto è accaduto con estrema rapidità. Santi ha afferrato un preservativo e se l’è srotolato sul cazzo mentre io, ansimante, sporgevo ancora di più il culo verso di lui. L’ha infilato di colpo fino in fondo, senza nessuna difficoltà, senza che sentissi il minimo dolore, però facendomi gridare dal piacere. In un attimo ce l’ho avuto dentro.
Dopo qualche minuto di forte sbattimento, voleva cambiare posizione, quindi ha estratto il cazzo. Notando che si era un po’ sporcato di merda, si è tolto il preservativo ed è andato a lavarsi. Quando è tornato gli ho detto che preferivo farlo anch’io e così è iniziata una pausa tecnica di una decina di minuti. Quando sono tornato nel suo soggiorno, Santi se ne stava disteso sul divano, assorto nella contemplazione del film. Si toccava il cazzo, con un sorriso stampato sulle labbra.
“Mi dispiace”, gli ho detto io, pensando che era la fine dei nostri giochi.
“A me non importa, vieni qua”, mi ha risposto Santi, facendomi stendere accanto a lui. Un vero signore. Un gran maiale però un vero signore. E ha risucchiato di nuovo la mia bocca verso la sua, sembrava quasi volesse strapparmi le labbra. Io l’ho aiutato a menarsi e piano piano è stato come un motore che si riavviava lentamente, però sicuramente spinto verso la meta. Altro preservativo, altro giro. Questa volta mi ha messo a pancia in giù, le gambe non troppo divaricate e lui sopra, a darmi colpi di bacino, a farmi sentire il suo peso sopra e dentro di me. Per rendere più facile l’accesso a quel bel cazzone, sollevavo un po’ il culo rispetto al corpo e me lo sentivo entrare fino in fondo. Poi di nuovo alla pecorina, mettendomi due dita in bocca, schiaffeggiandomi e dandomi forti pacche sul culo. Ero immerso in un piacere delirante così intenso che a mala pena potevo capire quel che mi stava quasi gridando: cazzo... il tuo culo... farti fottere... puttana...
A un certo punto lo ha tolto, io mi sono girato e l’ho contemplato, era in piedi con quella bella mazza dura in mezzo alle gambe e ansimava.
“Stenditi su un fianco, di lato, così, che te lo sbatto dentro di nuovo, dài...”. Bella posizione, così ho potuto menarmi il cazzo con lui che mi inculava, finché l’ho sentito gridare “Vengo” e i colpi che dava, rapidi e forti, non lasciavano adito a dubbi.
La doccia, il tè e la chiacchierata sono state senza storia, ma tutto sommato piacevoli. Che ci saremmo rivisti, era evidente a entrambi.

lunedì 23 gennaio 2012

Un certo languorino

La fame di cazzo si acutizza d’estate? Io ne ho sempre così tanta che mi sembra davvero difficile dare una risposta e fare confronti. Alterno cicli di frenesia sessuale in cui essere chiavato è un’esigenza praticamente quotidiana, a brevi momenti di riposo, di distrazione, direi. Di questi ritmi miei personali le stagioni sembrano partecipare ben poco. Eppure tenderei a credere che sì, i corpi finalmente seminudi o già completamente svestiti e offerti alla vista, il calore del sole, la natura che si è già risvegliata dal letargo invernale, e che anzi sta iniziando lentamente il suo declino, invitano per sè soli a sane e sudate scopate. Sembra che con gli indumenti che ci leviamo, se ne vadano anche certe inibizioni e sovrastrutture che hanno l’aria di essere state create apposta per impedirci il coito. Torniamo ad essere un po’ animali e questo è il bello.
Durante le vacanze estive generalmente mi pongo pochi, concreti obiettivi. Uno di questi è certamente di lasciarmi guidare solo dai miei ormoni e di offrirmi a quanti più uomini possibile. Bisogna ammettere che la frequentazione di spiagge naturiste dotate di “quinte” (generalmente dune o zone con alberi o arbusti) mi aiuta non poco a mettere in pratica i miei sanissimi propositi. L’esperienza acquisita nel campo (e sul campo) è varia ed è di livello internazionale. Mi piacerebbe condividerla e lo faccio postando questi “quadretti estivi”. Scritti generalmente poco tempo dopo aver commesso il fatto, sono in ogni caso un ritratto fedele e veritiero di quanto accaduto.

I.
Come sempre, anche oggi io e il mio ragazzo scegliamo il posto di sempre, un po’ nascosto tra le dune di sabbia bianchissima e fina e i cespugli. È una posizione perfetta perché presenta due vantaggi: è piuttosto vicino alla battigia, tanto che ci vogliono solo pochi passi per raggiungerla, ma confina direttamente con la zona nella quale, per ore ed ore, ferve l’attività di uomini di ogni età e orientamento, in cerca di conforto. Come sempre, anche oggi ci spogliamo completamente e, alternandoci, andiamo a passeggiare e a vedere che succede da quelle parti. I primi giri che faccio risultano tediosamente infruttuosi. Del resto è abbastanza presto e c’è poca gente. Tuttavia, noto che un ragazzo abbastanza giovane (avrà si e no trent’anni) mi osserva da lontano. Il suo interesse si fa più evidente quando mi bagno per cercare un po’ di refrigerio e lui si pianta sulla riva a guardarmi e a gonfiare un po’ ciò che riempie il suo costume nero (sì, è tessile, e io tendo a diffidare sempre dei tessili che frequentano spiagge nudiste. Eppure sembra carino e, per il momento, tanto basta).
E così, alla ronda successiva che compio nella zona scopereccia, mentre sto aspettando un po’ d’ispirazione in un gruppo di cespugli molto vicini al posto dove abbiamo piantato l’ombrellone e steso gli asciugamani, spunta lui all’improvviso e si avvicina. Mi sfiora l’uccello, che in pochi secondi si mette sull’attenti. Sotto il costume si nota che anche il suo cazzo è duro. Ha la pelle abbronzata, i capelli neri e un piccolo tatuaggio proprio sopra la linea superiore del costume. Mi arrapa senza che ne comprenda bene la ragione. Non è solo il suo corpo, bello, ben proporzionato, dalla carnagione scura o il suo sguardo un po’ perverso, ma qualcosa di più. Solo molto tempo dopo capirò che ciò che mi affascinava era il suo modo di fare, i segnali che mi inviava: “sono una bestia, sono attivo, sono dominante”, questo era ciò che il suo corpo cercava di dire al mio e, a parte la mia coscienza, tutto il mio corpo lo aveva captato perfettamente, soprattutto le mie cavità più ricettive.
Eccolo allora prendere di colpo l’iniziativa: si abbassa il costume per permettermi di toccargli il cazzo. È un po’ strano: durissimo, curvato verso l’alto, di una taglia media però con una cappella enorme. Mi mette una mano in testa e la spinge verso il basso in un gesto inequivocabile: vuole che glielo succhi. Questo modo di chiedere un pompino, così diretto e a suo modo volgare, mi eccita moltissimo. Sicché in un secondo sono già inginocchiato con la bocca aperta e inizio il servizio.
“Ti piace il mio cazzo?”, mi chiede, come se non lo vedesse da sè. Ma nella domanda stessa sta la spiegazione: è un maiale. E nel mio gemito, emesso a bocca piena, si intravvede la cagnetta in calore che sono. Ecco forse perché non esita oltre e mi prende la testa con le due mani e comincia a scoparmi la bocca. Ogni volta che la cappella sbatte contro la mia gola, mugolo.
La toglie con uno scatto. Starà per sborrare, penso io. No, abbiamo detto che è un maiale.
“Chiama il tuo amico”, mi dice.
“Vuoi?”, gli rispondo, un po’ stordito.
“Sì, vai a chiedergli se viene anche lui”.
Lo lascio lì, percorro i quattro passi che mi separano dal posto dove abbiamo gli asciugamani e di colpo vedo il mio ragazzo che mi guarda sorridendo.
“C’è un ragazzo che vuole che partecipi anche tu. Vuoi?”, chiedo io, col cazzo ancora duro.
“Dove?”
“Proprio qui dietro. È molto eccitato, andiamo subito, dài”.
“Va bene”.
Ci avviciniamo a lui e vedo che ha scelto un posto un po’ più riparato dai cespugli, pur rimanendo alla portata di un uomo che, un po’ più distante, ci osserva col cazzo in mano. Appena arriviamo, abbassa il costume del mio ragazzo, mi spinge di nuovo verso il basso e, mentre gli fa una sega, avvicina la cappella alla mia bocca e preme finché non la schiudo. Il suo cazzo mi scivola in bocca e io ricomincio a spompinarlo, anche se di tanto in tanto me la tolgo per gustarmi un po’ la minchia del mio ragazzo. Passo da una all’altra ma il ragazzo vuole nuove sensazioni: prende la mia testa e la tiene stretta e ferma tra le sue mani per spingere il suo cazzo fino in fondo alla mia gola. Rimane fermo così per un po’ e lo sento respirare affannosamente, finché comincia a muoversi e mi scopa di nuovo la bocca. Mugolo e non vedo bene ciò che accade, anche perché l’unica visuale disponibile è quella del suo pube che va e viene. A un certo punto fa uscire il suo cazzo e dirige la mia testa verso quello del mio ragazzo. Sbocchino entrambi alternativamente, vedo che lo eccita osservare come mi piacciono i cazzi, però, mentre mi sto dedicando a lui, estrae l’uccello di colpo dalla mia bocca e comincia a sborrare. È bianca e molto densa e non esce a schizzi, ma scivola giù dalla cappella. Io osservo il suo corpo teso nell’orgasmo, vedo i suoi occhi chiudersi lentamente mentre viene invaso dal piacere supremo.
“Hai visto quanta sborra aveva?”, mi chiede poi il mio ragazzo quando alla fine torniamo agli asciugamani.
Il mio sorriso è la risposta più eloquente.

venerdì 20 gennaio 2012












Il piacere è tutto tuo (ovvero: stanotte ho dormito nel letto sbagliato)

E invece sei ricomparso. Certo, ti ho evocato io. Due bicchieri di un buon rosso mi sono bastati per mandare al diavolo il mio amor proprio e per proporti di andare a prendere qualcosa. “Vieni”, mi hai risposto, “siamo nel locale lesbico del tuo quartiere. C’è anche S.”. Sembravi allegro. Sono caduto volentieri nella solita trappola.
Altro vino. Sorrisi, molte chiacchiere e penso che S. è davvero carino con me. Chiede, si informa, presta attenzione a ciò che dico. Quello che tu non fai mai. Però adesso mi sfiori,  sì. L’ho sentita la tua mano sulla mia coscia. Poi mi carezzi, infine quando S. si assenta per un po’, mi baci e io sospiro e mi lascio andare, come fosse passato un incubo. Che succede? Di nuovo il tuo calore mi avvolge e mi rapisce. Continuo a non capire perché. Ancora oggi non capisco perché.
Poi, le logiche conseguenze. Dai, venite a casa, andiamo a dormire, abito molto vicino. S. sorride un po’ imbarazzato: “È già molto tardi, devo rientrare a casa”. “Sì”, dici tu di rincalzo, “anch’io domani devo alzarmi presto”. Insomma, sono l’unico che ha l’aria di non avere un cazzo da fare la mattina dopo. Pazienza.
Non ci sono più avventori, le luci della cucina sono state spente e il barista chatta ormai freneticamente muovendo veloce le dita sul suo cellulare. Le occhiatacce che ci lancia sono rare ma molto eloquenti. Magari lui non si dovrà svegliare all’alba però è evidente che di noi ne ha già pieni i coglioni. Così paghiamo e ci ritroviamo fuori a parlottare. Penso che siamo ormai giunti ai saluti, ognuno andrà per i fatti suoi, è stato molto bello ma è proprio tardi - cazzo che tardi - e fa pure freddo - cazzo che freddo. E invece no. Mi prendi per un braccio e lo stringi ritmicamente: “Sarebbe un problema per te svegliarti presto domattina?”. “Figurati”, ti rispondo io. Scemo, scemo, tre volte scemo.
E così scivoliamo per le strade fredde. Io e S. parliamo di gatti, ma tu te ne stai in silenzio come chi si è già pentito di una proposta che ora appare meno allettante. Lasciamo S. sotto casa sua e in un minuto arriviamo da te. Come abbiamo cominciato? Io ero in cucina e ti aspettavo perché dovevi andare in bagno. Quando sei tornato, ti sei presentato con i pantaloni aperti, un po’ abbassati, il pacco visibile per metà. Poi è stata una corsa verso il letto. Verso la catastrofe che ci aspettava. Non ricordo granché, se non che il tuo dito in culo mi ha provocato più dolore e fastidio del tuo cazzo. Il tuo splendido cazzo.
Ho messo le mani là dove sapevo che ti avrebbero regalato sospiri e occhi chiusi e testa infossata nel cuscino e sì e sì e ancora. I tuoi capezzoli. Il solco tra le natiche. Il buco.
Non potevo muovermi mentre mi penetravi. Mi volevi docile e mansueto, come sempre. Però non funzionava. “Sono molto stanco”. Anch’io. Allora ti sei masturbato e sei venuto in poche gocce bianche e il poco piacere che c’è stato è stato tutto tuo.
Poi hai dormito. Ci siamo risvegliati lentamente, mentre tutto attorno rumoreggiavano già i vicini, armeggiando con docce, lavandini, fon, spicciati che fai tardi. E mi hai abbracciato ancora mezzo addormentato. Molle, caldo. Mi hai accarezzato di nuovo. Il cazzo mi si è gonfiato mentre sentivo il tuo, già duro, premere contro il mio culo. Ed è la grande scoperta di stamattina: sei più sensuale in dormiveglia. Il miraggio di un’altra scopata, questa volta decente, scompare coi primi raggi di luce che filtrano dalla persiana. E in un attimo ti odio. Non dici una parola ma ti alzi dal letto. Ti osservo, mi ignori.
In un tempo record siamo già vestiti e catapultati fuori casa dal tuo ritardo. Saliamo in macchina, stretti nei nostri giubbotti e in un silenzio che sembra quasi rancoroso. Il saluto è ancora peggio e in italiano suona come un “arrivederci”. E grazie al cazzo.

giovedì 19 gennaio 2012

Cominciamo dalla fine

Sedici giorni a Cuba... e per fortuna esiste Whatsapp. I messaggi tra me che resto e R. che se ne va si fanno lentamente ma inesorabilemente rari, una dissolvenza nella quale alla fine mi sono volutamente accomodato: che si faccia sentire lui, ora. Proposito che dura lo spazio di un mattino. 
"Allora, come va a Cuba?"
"Stiamo passando gli ultimi due giorni a Varadero, però i posti di mare esclusivi mi annoiano".
(Sapessi a me). Ma non rispondo nulla, arrostisca pure sulle spiagge cubane bevendo mojito, prima o poi tornerà.
Passano i giorni e R. è di nuovo qui fra noi, cittadini della metropoli, però muto come un pesce. Lo intercetto in una chat dove probabilmente mi scorge. Taccio.
Dopo qualche giorno non resisto: "C'è il sole a Varadero?"
"Sono già tornato!" (che faccia tosta). "Comunque sì. Mi sono scottato le gambe e la schiena :-)" (ben ti sta). "Cioè gli unici posti dove non avevo messo crema" (pensavo il pisello). "Sempre tra 20 e 30 gradi" (va bene, e poi?). E poi nulla. Communication's lost. I'm losing you.
Ed ecco l'errore. Sono io a commetterlo: 
21:49 "Sono libero come l'aria, possiamo andare a bere qualcosa da qualche parte più tardi" (la vaghezza fatta persona, lo so, ma è la mia maniera per dirgli: ho voglia di vederti, cazzo, ovunque sia, all'ora che vuoi tu).
22:59 "Cazzo, mi spiace, ho appena letto il tuo messaggio" (ma non dirmi). "Ci vediamo un altro giorno, non ti preoccupare" (non ti preoccupare? Ma preoccupati tu!)
23:00 "La proposta è sempre valida...". Ma non risponde.
E così si gioca un po' al gatto e al topo. Ci scambiamo i ruoli.
"Ciao, come va? Ieri sera ho cenato vicino a casa tua, al Malavoglia" (eccoti, finalmente!).
"Sto bene, e tu? Ti è piaciuto?" (quel posto è semplicemente disgustoso).
"Mi è piaciuta moltissimo la pizza con asparagi. Mi rimetto al lavoro. Bacio". (ma sarai stronzo?)
"Bacio".
E infine ieri. Sempre lui: "Come va?"
"Bene, tu?"
"Bene, ho bevuto una delle due bottiglie che mi avevi regalato, molto buona" (ah sì? Interessante. Poi?) "Ci dobbiamo incontrare. Ne parleremo, bacio" (e perché non cominci a parlarne, appunto?). Silenzio.
"E se ne va".
"È che non posso stare ancora in bagno!" (in orario di lavoro R. whatsappa sempre dal cesso per non farsi vedere dal capo. Immagino i commenti dei colleghi sul suo povero intestino). "Stasera ho il corso di pittura. Bacio".
"Va bene, bacio".
Mi sembra che oggi P. sia disponibile. Magari lo chiamo.