venerdì 7 settembre 2012

Una persona - 1ª parte

“Io non funziono così”. La frase, appena apparsa sullo schermo, mi lascia perplesso. La rileggo. Le parole sono proprio quelle. Sono di una chiarezza cristallina. Eppure non riesco a capirle subito. È che nei minuti precedenti abbiamo chattato pesante. È ben vero che abbiamo evitato le solite domande sul ruolo sessuale dell’altro (del resto, che io sia passivo, lo dichiaro apertamente) o su quanto è grande il suo cazzo. Mi sono lasciato guidare piuttosto dai suoi modi gentili, che lasciano intravedere la sua discreta fiducia in sé. Tuttavia, sulle motivazioni contingenti (immediate ed urgenti, mi vien da dire) che ci hanno portati entrambi in questa chat, che hanno indotto lui a contattarmi per primo e me a rispondergli volentieri, non mi sembrava esserci dubbio alcuno. Almeno, fino a poco fa. Le foto che ci siamo scambiati potrebbero testimoniarlo: il suo torso, il suo uccello, il mio culo...
No, ha bisogno di vedermi prima. In un luogo neutro. Bere qualcosa, parlare. Ci penso un attimo e poi accetto. È sgradevole la sensazione di sottostare una volta di più a quella che spesso mi è sembrata solo un’ipocrita manfrina o la replica di un colloquio di lavoro, con il tutto il carico di ansia connesso. Ma gli dico di sì, perché questo ragazzo mi piace da morire e perché emana un’attrazione indefinibile. Sfuggendo al luogo comune che vuole che qui si esca “a prendere una birra” (come dire, in Italia, “bere un bicchiere”), suggerisce di andare a farci un vinello. 
Quando arriva nel locale, quello con molto legno vicino alla piazza, io sono già seduto al bancone con il mio bel calice di rosso. È alto, molto alto. Ha le spalle abbastanza larghe e una maglietta aperta sul davanti, dove noto un bel torso con il pelo accorciato. Un paio di jeans scuri, aderenti su gambe forti. Scarpe da ginnastica. Barba corta, scura. Capelli nerissimi e fitti fitti, corti, a incorniciare un viso un po’ squadrato. Gli occhi sono castani, molto scuri. Il naso grosso, invece di stonare, aggiunge semmai virilità all’aspetto di Paj. Con mio grande stupore, sono tranquillo e a mio agio: per quello che mi sta raccontando sento lo stesso interesse che mostra di provare lui per me. M’incuriosisce, per esempio, questo suo passare agilmente, nel corso della sua vita, da eterosessuale a gay e poi di nuovo a etero per terminare, ora, in uno spiccato (però chissà, magari non definitivo) orientamento omosessuale. Parliamo fittamente e sembra che riusciamo a stabilire una connessione e che, in fondo, questo passaggio per lui obbligato, non spiaccia nemmeno a me.  
Tutte le volte che mi osserva fissamente, abbasso lo sguardo. Ride e mi prende bonariamente in giro. Ci stiamo seducendo con la parola e con lo sguardo. Calice dopo calice, gli sgabelli si avvicinano e cominciamo a toccarci. Ci baciamo, accarezzandoci la nuca e poi abbracciandoci. Riprendiamo a parlare e a bere, ma è sempre più difficile trattenerci e così continuiamo a baciarci, dominati ormai dall’attrazione reciproca. Sentirmi avvolto fra quelle braccia e assaporare il suo odore, mi commuove e mi scuote tutto intero, al punto che ho le lacrime agli occhi: è una specie di gioia incontenibile che deborda. 
Gli altri avventori intorno al bancone lanciano adesso commenti più che benevoli nei nostri confronti. Paj bacia meravigliosamente bene eppure dice a me: “Che labbra delicate hai”. Prende una mia mano e la porta sul rigonfiamento dei pantaloni per farmi capire, senza equivoci, l’effetto che gli sto facendo. Delicatezza e durezza, un contrasto che mi ha sempre eccitato.
“Il fatto di essere qui, in mezzo ad altra gente, mi inibisce un po’”, mi dice. 
E meno male, penso io. “Allora che ne pensi di cercare per noi un po’ d’intimità?”.
“Mi sembra un’ottima idea. Un’ottima idea, sì”.
I pochi passi che separano quel locale da casa sua, una decina di minuti al massimo, sono sufficienti per far mutare repentinamente il mio stato d’animo. Forse mi distraggo perché Paj si ferma a parlare un minuto con due amici suoi che passavano casualmente di lì. O forse, adesso che la meta è chiara e l’obiettivo condiviso, tornano inibizioni e paure che nel bar ero riuscito a dimenticare. Il fatto è che quando salgo le scale del condominio dove abita, due o tre scalini davanti a lui, mi guarda voglioso il culo ed io sono un po’ nervoso.
“Mettiti comodo”, mi dice mentre, seduto con me sul divano, serve due calici di rosso. Mi abbraccia e di nuovo i suoi baci, lunghi, profondi, appassionati, mi rapiscono. I miei timori svaniscono improvvisamente. E allora è quasi una lotta di mani per esplorare ogni centimetro del nostro corpo, per gettare via in fretta, quasi scottassero, le poche cose che abbiamo addosso. Ed è proprio in quel momento che - sorpresa! - dai suoi slip bianchi sbuca l’uccello. Glieli levo e ci resto quasi male: ha uno dei cazzi più grandi che abbia mai “toccato con mano”. Ventidue centimetri. Così, a occhio. Giuro. Quasi mi prende un colpo. Quanto alle dimensioni dei coglioni, di questo sì, sono sicuro: sono talmente enormi che di così grossi non ne avevo visti proprio mai. Uno stallone? Un toro? Entrambi? Qualcosa non torna: le foto. Dalle foto che mi ha mandato sembrava un bel cazzo, sì, ma di dimensioni medie. Solo più tardi rifletterò sulla frase che le accompagnava, e che io avevo inconsapevolmente ignorato: “Si sta risvegliando”. Ovvero: attenzione, bimbo, è ancora molle.
Adesso è un’altra cosa. Ora che può dispiegare tutta la sua forza e la sua durezza, e che quel corpo grande e armonioso mi si offre disteso su quel divano, chinarmi e mettere la testa tra le sue gambe è un attimo. Mi sento incredibilmente impacciato cercando di maneggiare il tutto. Me lo metto in bocca e vorrei riuscire a cacciarmelo dentro completamente, ma è davvero impossibile. “Oooh... oooh... oooh”: il lavoretto gli piace e di tanto in tanto il mio sguardo incrocia i suoi occhi scuri che osservano attentamente il suo cazzo sparire nella mia bocca. Ma appena lo faccio uscire per prendere un po’ di fiato e masturbarlo un po’, mi prende e mi fa stendere sopra di lui. È forse più affamato di baci lui di me, che pure non ne ricevevo di così sinceri da un bel po’.
(1 - Continua)

12 commenti:

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    1. Niente. Troppa grazia Sant'Antonio, vuoi dire?

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    2. Eh si! Per ora sembra di si.. leggo il seguito e ti dico. :-)

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  2. Oh mamma...eccheccazzo, milk! :-)

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    1. In senso letterale? :-D

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    2. Insomma, fai un po' tu...;-))

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    3. Non vedo l'ora di leggere il seguito.
      Non so quanto ti possa far piacere ma sei molto eccitante anche per me che più donna di così non potrei essere...;-)))

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    4. Mi fa molto piacere, Estrellona! Più di quanto immagini.

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  3. Il solito tenerone

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    1. Sono un miscuglio. Il problema è nelle dosi.

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