martedì 11 settembre 2012

Nell'anima

Il giorno dopo è un whatsappear discreto, very light and sex free. Tutto bene? Sì, tu? Che fai? Un po’ di questo e un po’ di quello. Poi questo e quell’altro. Ah, sì? E io questo e quest’altro... E l’interruttore si spegne. La fiamma si è stemperata con quel frettoloso saluto alle due del mattino sulla sua porta, poi s’è spenta nella notte fresca. Il lumicino frega niente a nessuno: qui si vuole l’incendio.
Paj resta sotto traccia. Dalla superficie sembra essere scivolato via, la distanza appare incolmabile dopo il banchetto. E allora s’acquatta dentro di me, sotto la mia pelle. Riposa e intanto germina. E cresce, cresce, finché il mio tarlo, per manifestarmi pietà, gli scrive: “Ti va di vederci oggi?”. La risposta è immediata. Sua. “Sì”. E, dopo il silenzio mio che ha già imparato a conoscere (“Compromettiti!”): “Che proponi?”. Di uscire. Alle nove di sera. Di andare in un posto non lontano, di rimanere nel quartiere. Non allontaniamoci troppo dai rifugi.
È il massimo che posso fare, il locale preciso lo scelga pure lui. Sia chiaro, Milk - mi dico: lo faccio perché mi piace starlo ad ascoltare, raccontarci le nostre storie e stuzzicare i nostri cervelli alla ricerca di un’anima. Lo faccio perché con lui, proprio con lui, questo è un gioco che riesce molto bene. La realtà, però, almeno per me, parrebbe essere meno metafisica: salterei i preamboli e me ne starei in camera con lui ore ed ore. Un giorno intero, o due. Non solo scopando, no: facendo anche un po’ di filosofia da boudoir, terapia sul lettone. Ci si addice, gli si addice, non c’è che dire: un colpo all’anima e un altro al...
Eppure, stanotte si è deciso così, un’altra volta. Ci troviamo davanti al teatro e dopo pochi passi intuisco che immancabilmente si cambierà quartiere. 
“Ho deciso di portarti in un posto dove fanno degli spaghetti alla bolognese da leccarsi i baffi!”, spara. 
“Molto coraggioso da parte tua”, dico io. 
“Era una battuta”. 
Tiro un sospiro di sollievo. Ha una piccola sorpresa per me: una vecchia taverna nel cuore della città, avventori che gridano, cucina modesta però tipica di una regione che - sorpresa numero due - adoriamo entrambi. Ecco sì, parliamo molto. La birra va bene per rinfrescarci un po’ all’inizio, ma poi è meglio provare il vino bianco di laggiù. Mangiamo dagli stessi piatti. Mi dice che cosa ha scoperto di me e, attraverso l’incontro dell’altroieri, cosa ha scoperto di sé. Gioco lo stesso gioco e si finisce a baciarci. Ad abbracciarci. E a baciarci nuovamente. La sincerità reciproca che credo d’intuire, e che non risparmia nulla, ci rende sempre più complici. Dice che quando mi vede emozionato, gli viene il cazzo duro.
Alla fine un liquore preso sulla porta del locale, avvolti dagli schiamazzi che vengono da dentro. Sigaretta. Un’altra. 
“Davvero conosci questa canzone?”. 
“Sì”, gli dico io. 
“Cantala!”. 
“Tu sei matto”. 
“Perché? Dài, cantala!... Niente ti devo, niente ti chiedo... dài!”. 
“Me ne vado da te, dimenticami adesso”. 
“Sìiii...” e ride, “sì, continua... Ho pagato in soldoni...”. 
“... il tuo corpo dalla pelle scura. Non maledirmi contadina, che siamo pari”. 
Ride di gusto. E allora insieme: “Non ti amo, non mi amare...”.
Migriamo un po’ alticci verso il bar dove il suo più caro amico, quello col quale ha sempre condiviso tutto fin dai tempi delle elementari, ha lavorato. Se n’è andato via, a cercar fortuna in un’altra città, sicché Paj soffre, sente chiudersi letteralmente un’intera fase della sua vita. Per finire di comporre la geografia di un tassello della sua storia, ci fiondiamo in un altro locale, molto più vecchio, dove dice di aver passato “anni”.
Una famiglia umile, povera, numerosa. I sacrifici, gli studi, la testardaggine e le vittorie, le conquiste. Il senso di colpa: non puoi essere contento di aver fatto qualcosa per te, perché il tuo bene l’ha voluto Dio. Non è merito tuo. La tua presunzione va punita. Sii infelice. Oppure pentiti, ma soprattutto, liberati delle tue responsabilità. Ci pensa Lui. Sai cosa? La più grande ideologia terrorista mai apparsa nella storia dell’umanità, per me, è senza dubbio il cattolicesimo. Concordo. Sì. Ma il secondo gin tonic comincia a sembrare eccessivo pure a me. E così lo abbandoniamo sul tavolino e ce ne andiamo abbracciati, l’uomo alto ed io, avviati alla conclusione che stiamo desiderando.
Il divano del suo saloncino non è male, soprattutto quando toglie i cuscini verticali e ci stiamo sopra in due. Abbracciati, avvinghiati, bacianti, mordenti, leccanti. Esploranti participi rari. “Perché non andiamo nel letto? Si sta più comodi...”. Sì Paj. Stenditi su di me, rotolati con me fra le lenzuola, fammi sentire come mi lecchi il buco, come la tua barba si sfrega contro il mio culo. Come risali bene con la lingua fino alle palle e che sguardo da ragazzo cattivo hai mentre mi guardi succhiandomi il cazzo. Continua. Continua. Vuoi vedere che si apre così tanto che me lo sbatti dentro in un sol colpo?
Ma no. Paj risale verso la mia testa e mi sbatte in faccia il suo uccello. I suoi coglioni. Meglio che posso, lo impugno e lo porto in bocca. Comincio un lavoretto che lo fa star bene, che lo fa sussurrare: “Come spompini...”. Dopo un bel po’, si distende a pancia in su perché vuole leccarmi il buco mentre io, disteso sopra di lui in senso contrario, gioco con la sua nerchia, così lunga e grossa che posso metterci due mani o tenerla alla base e farla ondeggiare sfregando la cappella sulle mie labbra. Spinge il bacino verso l’alto e questo vuol dire: fammi un bocchino. Mano ben stretta alla base, comincio a pompare. Sempre più forte.
Stiamo gemendo entrambi. “Fermati, fermati!”, mi dice. Io, falso ingenuo: “Perché?”. “Perché altrimenti vengo”. Sì, voglio proprio sentirmelo dire. Quindi gioco ancora col suo cazzo e ricomincio a spompinarlo. Lo sento gemere di nuovo e voglio portarlo al limite, che puntualmente, poco dopo, arriva: “Fermati. Vuoi che venga?”. E io, maligno: “No”. “E allora fermati”.
Non ti ho forse detto, poche ore fa, che sono goloso? Di tutto sì, anche del tuo gran cazzo, che adesso pompo con forza. Paj geme, adesso sempre più forte, e poi comincia a contrarre i muscoli. Tolgo la bocca appena in tempo per vedere zampillare dalla sua nerchia, ora grossissima, tutta la sborra che ha. Sta ancora ansimando mentre tocco con la sinistra il liquido bianco che si è depositato sulla sua pancia, e con la destra mi masturbo e poi vengo sopra di lui.
Mi sorride. Rimaniamo distesi vicini, abbracciati, nudi e bagnati. “Non riesco a tenere gli occhi aperti, Milk. Ti fermi a dormire?”. “No”, gli rispondo. Senza aggiungere spiegazioni, mi alzo, mi asciugo, piscio, mi lavo le mani e mi rivesto. “Buon viaggio”, mi dice accompagnandomi alla porta, con l’aria di chi compatisce il ragazzo che rientra alle cinque di mattina con una leggera sbornia e una pesante ubriacatura di sesso. E con anima.

8 commenti:

  1. Queste sono storie d'amore. Io almeno ce ne leggo molto. Forse perché in questo ultimo periodo della mia vita sono più sensibile del mio consueto. Bello milk, bello tu e bellissimi i tuoi racconti...

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  2. "La più grande ideologia terrorista mai apparsa nella storia dell’umanità, per me, è senza dubbio il cattolicesimo"

    Siamo almeno in tre a pensarlo

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  3. Quando esci dalla quarantena passi nella mia casa di wp? si riparla, che lo dico a fare, di diritti civili..:-)

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    1. Quarantena momentaneamente sospesa... ;-)

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