martedì 10 luglio 2012

Purtroppo son desto



È tornato. Prima d’andare aveva scritto. Che voleva vedermi per non continuare nella spirale di frasi che, secondo lui, scrivo per dispetto. Che però intanto voleva chiarire un paio di cose. Ma lo fa solo a metà e questo m’infastidisce. Che non è arrabbiato. Solo che non può rispondere punto per punto dal suo cellulare, dal lavoro. E allora ne avremmo parlato di persona, lasciando fluire gli argomenti in modo naturale. 

Sono su una pedana rotonda di cemento che avrà forse due o tre metri di diametro. È altissima, sostenuta solo da un pilone. Non ci sono balaustre e dal bordo posso vedere di sotto: una grande pista per fare pattinaggio a rotelle da una parte, una piscina dall’altra. La vertigine mi terrorizza al punto che non posso stare in piedi, ma devo distendermi a pancia in giù, appiattirmi il più possibile a quella pastiglia bianca sospesa nell’aria e sforzarmi di non pensare all’altezza a cui si trova.

Che diavolo voglia dire “naturale”, per il momento lo sa solo lui. Infatti risulta essere in città da domenica sera, ma è già passato un lunedì intero nel quale ha mostrato tutta l’ansia che ha di vedermi: non un rigo, non dico una chiamata ma nemmeno un cenno di saluto. Avrà deciso (per il mio bene, suppongo), che era meglio così. Come sempre, sto al rimorchio. 

Con me c’è V. Mi sprona a saltare. “Se l’hai fatto anche ieri, scusa?”. “Sì, ma ieri dovevo nuotare e ho saltato nella piscina. Oggi dovrei pattinare!”. “Vedi tu”, mi fa V. sorridendo, e poi la vedo sparire. Resto solo, immobile, più angosciato che mai. Se voglio pattinare non posso buttarmi da qui, mi schianterei. Non posso nemmeno scendere per le scalette piantate nel pilone, non sopporterei la vertigine. Dovrei quindi tuffarmi in piscina ma ho una paura tremenda di sbagliare lato, di avere la mente troppo occupata a sopprimere il panico che sta crescendo dentro di me e quindi di non poter prendere correttamente la mira.

Tutto l’essenziale, tutto ciò che di veramente importante avevo da dirgli, l’ho scritto. Non mi nascondo dietro a un dito: la scrittura è l’unica risorsa utile che ho trovato nella mia vita per dare una forma decente al pensiero e non intendo rinunciarvi. Perciò ora, se vuole rispondere - dal vivo o su carta da bollo, cantando o declamando da un palco - per me è lo stesso, purché lo faccia.

Mi sveglio d’improvviso, ma la sensazione di vertigine non mi abbandona subito.

Sabato sera, invece, appuntamento con C. sul tardi nel quartiere gay. Il locale è popolato di una fauna giovane e mediamente carina. Un tipo con barba si agita vicino al bancone al ritmo della musica e mima un playback per il compagno che gli sta a fianco. Il primo bicchiere scorre giù bello fresco, benché alcolico, il secondo invece mi viene a noia. Cannetta sul marciapiede. Non c’è più la metro, allora via a prendere un bus notturno fino a casa di C., dove ci aspetta una coppia di amici, ospiti suoi per questo fine settimana. Una volta chiusa la porta della camera dove i due si apprestano probabilmente a dormire, ci abbracciamo distesi nel divano letto aperto nel salone. E scopiamo. Le sensazioni che provo sono di nuovo molto belle. Mi lascio andare, mi sento a mio agio, sento il suo desiderio mescolarsi al mio. Gli piace come glielo succhio e m’incoraggia a farlo. Mi scopa la bocca. I nostri corpi si avvinghiano più volte. C. è un appassionato del sessantanove ed è in questa posizione che rischio di venirgli in bocca, come durante il nostro primo incontro. Invece poi strofiniamo i cazzi l’uno contro l’altro, li impugniamo e, unendoli, ci masturbiamo. “Vengo”, mi dice C., allora io mi stendo al suo fianco e mi faccio schizzare addosso. Poco dopo, con la mano che ritmicamente agita il mio cazzo, godo anch’io.
Domenica, gita fuori porta con gli amici. Torniamo in città che è quasi notte, stanchi ma contenti. Ci sediamo in una terrazza per cenare. Lì ci raggiunge D., un amico di C.  Quando ormai è già tardi, decido di far ritorno a casa. “Se vuoi puoi fermarti da me anche stanotte”, mi dice C. Ma domani è lunedì e io ho già la testa inutilmente riposta altrove.

14 commenti:

  1. Non mi nascondo dietro a un dito: la scrittura è l’unica risorsa utile che ho trovato nella mia vita per dare una forma decente al pensiero e non intendo rinunciarvi.

    Neanch'io, ecco...

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    1. Tanto più che questo fatto di rispondermi a metà per iscritto, lasciando tutto in sospeso finché non ci vedremo per parlare e poi sparire mi lascia... come dire? Perplesso, ecco. Mi perplimo. Intensa voglia di strangolamento.

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    2. Un libro magari no, ma per il titolo di un post andava benissimo..:-))

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    3. Aspetto di leggerlo, quel post. ;-)

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    4. Uh, non avevo visto!

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  2. Prima o poi, passa.
    Credo che sia quel senso di sospeso (a parte i sentimenti) a tenerti dove sei.
    Comunque mi sta sempre più sul cazzo quest'uomo.
    Sappilo!

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    1. Il peggio è questo (cerco di misurare le parole): sta sempre più sul cazzo anche a me, però so precisamente, con certezza quasi matematica, che mi basterà vederlo e sentire la sua voce per cambiare improvvisamente idea, intenerirmi e ammorbidire i miei pensieri. Quindi la conclusione è che, in realtà, dovrei starmi sul cazzo io stesso. Un'assurdità. Mi viene da sbattere la testa contro il muro.

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    1. Dovrei uscire. O far entrare in casa questo D. che mi è appena capitato sotto mano...

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  4. La scrittura non costa. Mi viene decisamente spontanea

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    1. Mi sento molto più libero quando scrivo rispetto a quando parlo.

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  5. E' umano intenerirsi e cedere quando c'è un grande trasporto. Con il tempo riuscirai a trovare il giusto distacco ma non è facile quando lo si vive. Da fuori i consigli sono scontati ma con un po' d'immedesimazione ti comprendo e ci sono anche passata (secoli fa..). Ciao

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    1. Il distacco è avvenuto esattamente tre ore dopo e non ci è voluto molto tempo. Devo dire che l'aiuto del soggetto in questione è stato fondamentale, decisivo. Un apporto per il quale ho avuto la tentazione perfino di essergli grato, ma per fortuna mi è passata subito: ringrazio me stesso per aver fatto sì che invece di sette anni, quest'agonia sia durata "solo" sette mesi. Augh.
      Oggi è un altro giorno.

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